Sentì il portone aprirsi, poi lo scalpitio dei tacchi della sua padrona che saliva le scale; con affanno e timore si recò davanti al portone, si lo aprì e si accucciò in attesa. Lo splendido profilo della sua padroncina si stagliava contro la luce dell’atrio, il suo inconfondibile e forte profumo pervase le narici di Matteo. Lei fece alcuni passi, poi, con un calcetto assestato sul petto del ragazzo, lo fece scostare. “Ciao tesoro”, bisbigliò, per non svegliare la madre, e poi scoppiò a ridere. Dal modo in cui camminava e apriva le varie porte non sembrava essere totalmente sobria; era reduce da una serata in discoteca con il ragazzo, ed era quantomeno frastornata. Entrò in camera, seguita a quattro zampe dal suo schiavetto, il quale aspettava l’inesorabile verdetto sul lavoro svolto.
Accese la luce, si sedette sul letto, si spostò indietro i capelli (mossi e scomposti) ed iniziò a fissare il ragazzo, ancora sulla porta a quattro zampe, con occhi socchiusi e un beffardo sorriso accennato. Sospirò, fece per slacciarsi la slip dello stivale destro, ma poi disse lui, con tono di voce alterato: “Beh, cosa fai lì imbambolato? Coglione, vieni a togliermi gli stivali”. Detto ciò il ragazzo corse ai suoi piedi: sentì un forte odore di cuoio e sudore che si mescevano al profumo (gli sembrò anche di riconoscere il sottile e nauseante odore dello sperma). Lei iniziò a dargli degli scappellotti non troppo forti sulle guance e sulla testa, ridendo a tratti e singhiozzi, intervallati da incitazioni: “Dai”, “Forza!”, “Più forte!”; quando il ragazzo fu sul punto di sfilarle uno stivale, gli arrivò un calcio deciso e intenso sotto la mascella, che lo fece traballare. Fu un’impresa ardua riuscire a sfilare lo stivale fra schiaffi e calci, ma alla fine vi riuscì: una vampata del forte odore di nylon e di sudore arrivò improvvisa, provocando un’ondata di calore e di eccitazione nel ragazzo.”Bacia!”, comandò: non se lo fece ripetere due volte e, mentre baciava il suo piedino caldo e odoroso, si beccò un altro calcio seguito dalle risate sgraziate e sgolate della ragazza. Iniziò a stuzzicarlo con il tacco dell’altro stivale, che finì col calpestare in maniera brutale la mano del povero Matteo, il quale cercò di reprimere il grido dell’intenso dolore inflittogli, mentre lei roteava e premeva il piede.
Quando entrambi gli stivali furono tolti, Federica si alzò e si diresse verso la finestra, ai lati della quale giacevano tutte le sue scarpe ordinate. La vista di quei piedi che camminavano sul pavimento inarcandosi lo riempirono di eccitazione, interrotta soltanto dalla paura: ovunque passava, lasciava le impronte umide dei suoi piedi sul parquet, che svanivano poco dopo. “Oh, ma che bravo”, disse, facendole cadere con un calcio e ridendo: assistendo alla breve distruzione del suo lavoro, il ragazzo venne invaso da un istinto di rabbia, che a stento represse, seguito prontamente da una intensa eccitazione. Poi iniziò a tirargli scarpe in faccia, ridendo ogni volta di pancia, ordinando gli di riportarle, come un cane, con la bocca. E infine accadde l’inevitabile.
La padroncina prese una decolté nera, vide che non era pulita e la annusò. “Che puzza!”, disse. Il ragazzo non fece nemmeno in tempo a vedere la sua reazione, che subito si ritrovò la ragazza addosso, che lo picchiava con una violenza inaudita e quasi scimmiesca: “CHE E’ QUESTA PUZZA, EH?”, ed arrivarono sulla testa dello schiavo diverse serie di schiaffi forti, rapidi e frequenti, “ COGLIONE”, e una sberla,” IDIOTA”, e un manrovescio assestato con decisione sull’occhio destro, “ FROCIO DI MERDA”, e un calcio sulla schiena che lo face cadere in terra. Iniziò a calciarlo e calpestarlo con durezza, mentre si era chiuso a riccio per difendersi, ansimante. Lo girò su un fianco ed iniziò a colpirlo con le sue magnifiche gambe all’altezza dello stomaco: respirava a stento e aveva la testa che ronzava per i colpi ricevuti. Lo tirò per i capelli, continuò a schiaffeggiarlo e provocò la fuoriuscita di sangue quando lo colpì sul naso con una forza incontrollata; iniziò a colpirlo anche con delle scarpe: “COGLIONE, FROCIO, BUONO A NULLA, MERDA UMANA!”. Poi lo costrinse ad alzarsi e gli diede un calcio sui testicoli, che lo fece accasciare sul pavimento. Fra i lamenti implorava pietà, che sapeva non sarebbe arrivata. Diverse volte fu fatto rialzare e preso a calci sui testicoli, non riusciva più a respirare per il forte dolore, e per le fitte che lo attanagliavano. Alla fine iniziò a piagnucolare: “Padrona, perdono, basta, pietà”. Alla fine anche Federica si accucciò a terra esausta, ed iniziò a ridere come una forsennata. Lo schiavo dolorante dovette allora cercare di spogliarla e metterla a letto, ma non vi riuscì e, fra schiaffi ed insulti, Federica si mise a letto da sola. Lui si limitò a coprirla, poi tornò a casa, reggendosi a malapena in piedi e barcollando.
L’indomani, dolorante e con terribili fitte ai testicoli, si avviò a casa della padroncina, dove avrebbe dovuto rimettere ordine nel caos della serata precedente; aveva il timore di una nuova punizione, ed era pieno di imbarazzo e frustrazione. Quando Federica aprì la porta di casa, a lei si presentò un ragazzo esausto, spento, con un occhio gonfio e pieno di graffi ovunque, che si muoveva a scatti per i dolori. Ne provò pena, e improvvisamente si addolcì: “Piccolo, cosa ti ho fatto!”, disse con voce commiserevole accarezzandolo. Lui non ce la fece nemmeno ad inginocchiarsi ai suoi piedi, anche se avrebbe desiderato sopra ogni cosa baciarglieli. Continuò ad accarezzarlo, poi lo fece entrare in camera e sedere sul letto accanto a lei: nel rivedere la camera piena di scarpe, vestiti gettati all’aria e calze, sentì una vertigine che gli fece girare il capo. “Sono stata proprio cattiva ieri sera, scusami tesoro mio!”, disse, accarezzandolo ed eseguendo un dolce massaggio sulla schiena. Nella sua voce c’era un sincero pentimento, e questo fece emozionare anche il ragazzo. Lo portò in bagno, dove medicò le sue ferite e i vari graffi (lui non aveva avuto il tempo per farlo), nonostante egli si fosse inizialmente opposto: non amava essere “servito” dalla sua padroncina! Ad un tratto, mentre erano davanti allo specchio, lei reclinò dolcemente il capo sulla sua spalla: nel sentire i morbidi capelli di lei scendere sulla sua schiena, e le soffici e calde guance toccare la sua spalla, improvvisamente si decontrasse e si abbandonò a quel raro momento di tenerezza.
Li sorprese la madre, meravigliata, che prontamente Matteo salutò: lo guardò con occhio indagatore. Quando rimase da solo in bagno, sentì Martina rimproverare la figlia per averlo ridotto in quelle condizioni, per averla svegliata durante la notte e per essere tornata a casa in quello stato. “Si trattano così i tuoi amichetti?”, disse, mentre passava scalpitando sul corridoio: c’era un sottile velo di ironia in quella frase, visto che Matteo era un “amichetto” un po’ particolare.
Alla fine Federica chiese a Martina di riportare il poveraccio a casa in macchina: accettò, ma prima lo portò a fare la spesa con lei. Si sentì veramente in imbarazzo, per mostrarsi in quello stato davanti alla madre di lei, la quale ogni tanto lo guardava con i suoi splendidi occhi e lo interpellava con la sua voce calda e le sue labbra sensuali: “Piccolo, ti fa ancora male la schiena? L’ho detto a mia figlia che deve essere meno aggressiva!”, “No, Martina, non ti preoccupare, non è nulla…”. Nelle domande di Martina si intravedeva allo stesso tempo l’incomprensione per la sua condizione di schiavo, una fine derisione umiliante e anche una sottilissima soddisfazione che la sua vanità femminile provocava. Lui continuava a guardare come imbambolato le mani che dolcemente e scioltamente scivolavano sul cambio, ma l’eccitazione che inevitabilmente sorgeva veniva soffocata immediatamente dai dolori ai testicoli.
Si fermarono a fare la spesa: “Tesoro, tu puoi rimanere in macchina se vuoi!”, disse, sapendo che in questo modo la avrebbe senza esitazione accompagnata. Portò per lei il cestino, la seguì docilmente lungo gli scaffali assecondando ogni sua esigenza. I movimenti della donna, che forse aveva notato lo sguardo del ragazzo dietro di lei, si fecero volutamente più sensuali. Alla fine si offrì di pagare lui, al che la donna simulò un rifiuto di cortesia: “No, guarda che mi arrabbio, sono diverse volte che paghi tu”, si lasciò scappare una risatina e lo ringraziò: “Grazie, cucciolo!”. Quando lo lasciò a casa, al momento di salutarlo gli fece una sensuale carezza sulla spalla: quel gesto, unito all’intenso odore di pelle e di creme emanato dalla donna, di nuovo fece eccitare il giovane, ma le intense fitte di dolore di nuovo repressero quell’istinto. Lo salutò, con quello sguardo rilassato e quel sorrisino ironico con cui era solita fissarlo.
Se ne andò intenerito, emozionato e frustrato ad un tempo. Ancora non sapeva che la padrona aveva in serbo per lui una sorpresa molto piacevole.