Russian Mistress

Dalla Russia con perfidia – parte III

Taty, la sissy, stava pulendo e riordinando la scarpiera della sua padrona. Questa aveva una collezione pressochè sconfinata di scarpe di ogni tipo, colore e forma, da quelle più economiche a quelle più lussuose.Russian Mistress
Quando si trovava in quello sgabuzzino, circondata da tutto quel ben di Dio, Taty si sentiva in paradiso. Era una delle mansioni che svolgeva più volentieri, pur essendo il lavoro lungo, impegnativo e meticoloso.
Poteva sentire il profumo delle scarpe avvolgerla da ogni lato. Pulire le scarpe doveva essere un vero e proprio rituale, insegnatogli a suon di schiaffoni e frustate da Alena nel corso degli anni. Come prima cosa, doveva prendere in mano con delicatezza la singola scarpa, annusarla e baciarla dieci volte. Poi poteva iniziare a pulirla. Aveva l’obbligo di usare la lingua solo per le scarpe di uso comune, ad esempio le decoltee da lavoro o gli stivali. Ogni paio di scarpe aveva il suo posto, ed Emanuele doveva prestare molta attenzione nel riporle nel giusto ordine: al rientro, la sua matrigna avrebbe controllato e lo avrebbe punito al minimo errore.

La stessa operazione la doveva ripetere spesso anche per le scarpe della sorellastra, la principessina Natasha. Quest’ultima si divertiva sadicamente nel gettare di nuovo in disordine tutte le sue scarpe dopo che lo schiavetto le aveva sistemate.
Così che egli doveva ripetere il lavoro daccapo: se avesse potuto, avrebbe senz’altro preso a schiaffoni quella bimba insolente e dispettosa, che invece doveva chiamare principessa e alla quale doveva sottostare per volere di Alena.
Alla filippina Tala spettavano mansioni assai più leggere e sostenibili: anzi, questa spesso scaricava su Emanuele alcune delle proprie incombenze, dato che Alena glie ne aveva dato licenza. Anche se malvolentieri, Taty era costretta ad una certa sudditanza anche nei suoi confronti, il che era forse ancor più umiliante che non il dover sottostare alla sorellastra.
Spesso per punizione Alena costringeva il figliastro ad annusare e baciare le calze, i piedi sudaticci o le scarpe di Tala dopo che questa aveva lavorato.

Mistress Russa scarpe
Un giorno la perfida Alena decise che il percorso di femminizzazione del figliastro dovesse subire un salto di qualità. Per fare ciò, sapeva che l’indole sottomissiva e docile del ragazzo non era sufficiente, così come la castità forzata alla quale lo aveva costretto. Ci serviva, in defintiva, un altro strumento. Lo trovò informandosi sul web, sulle varie community a tema BDSM: era un dispositivo telecomandato che provocava uno shock elettrico ai testicoli.

Lo mise al collo dei testicoli di Taty, appena sotto la gabbia di castità, e lo testò immediatamente, inviando impulsi di intensità e durata variabile per vederne l’effetto sulla povera sissy, che trasaliva o si accasciava a terra in preda a fitte lancinanti. Nel vedere questa scena, Alena provava un piacere sottile, ridacchiando mentre il figliastro, a terra fra gli spasmi muscolari, la supplicava di smettere. Un congegno veramente diabolico: semplicemente spingendo un tasto, la Dea provocava al ragazzo un dolore di gran lunga superiore a quello di uno schiaffo, un calcio o una frustata, con uno sforzo nettamente minore.
Spesso, mentre lei e il compagno erano seduti sul divano, si divertivano a far ballare la troietta davanti a loro, sollecitandola con gli impulsi elettrici. Il percorso di femminizzazione era iniziato proprio dalle movenze di Taty, che doveva indossare anche le scarpe col tacco per quasi tutto il giorno. Anche la voce doveva essere la più femminile possibile, pena ripetuti shock elettrici ai testicoli. Si divertivano un mondo quando Taty finiva per cadere dai tacchi, mentre era sotto shock elettrico. Quando invece faceva la brava, Taty veniva premiata dalla padrona con una carezza.Mistress Russa

Una volta curate le movenze, la voce e l’aspetto fisico, arrivò il fatidico giorno di apprendere l’arte della fellatio e dell’irrumatio. Alena iniziò con piccoli strap-on di gomma, e la maestra incaricata di insegnare a Taty tale arte fu la filippina Tala, dato che la bella russa non si volle abbassare a tale livello di contatto con il suo schiavo. Nuovamente, Taty si trovò in ginocchio di fronte alla colf, alla sua mercè. Alena era lì, in piedi, a supervisionare la lezione e a punire il figliastro con gli shock se necessario.

Tala iniziò con il penetrare la bocca di Taty con falli di piccola dimensione, spingendoli sempre più in profondità nella gola della sissy, che faceva resistenza, tossendo e sbavando per terra. Man mano che avanzava nel percorso, e che aumentava sia la dimensione dello strapon che la profondità e la veemenza della penetrazione di Tala, Emanuele si abituò a prendere aria e a non tossire troppo, vincendo il senso di soffocamento. Dalla pratica della irrumatio passò poi alla fellatio: dovette imparare quindi a muovere il collo e a succhiare con sensualità sempre più elaborata il fallo. In questa fase gli shock erano frequenti e intensi, dato che aveva molto ancora da imparare. La lezione successiva sarebbe stata quella di succhiare il pene reale di un uomo.

Giochi da adolescenti – parte II

feet05Ben presto i ruoli si invertirono: ora Alessandra era la moglie di Valeria, pertanto poteva godere di speciali privilegi, fra i quali un uso personale del loro schiavetto. Vinta la timidezza, si era calata appieno nel ruolo.

Dire che si vendicò e si rivalse di tutto quello che le era stato fatto sarebbe poco: restituì a Daniele tutta la furia con la quale le si era avventato con gli interessi. Oltre a divertirsi ad impartirgli compiti inutili (e spesso a fare qualcosa per poi disfarla lei stessa), si divertì a tormentarlo di continuo e senza riguardo alcuno. Schiaffi e calci continui, insulti, sputi in faccia erano di routine. Spettava lui il compito di prendersi cura dei piedi di Alessandra, pulirli, massaggiarli, leccarli e spalmarli di crema: passava ore inginocchiato in fondo al letto a leccare quei gioielli, dalle dita lunghe e sottili e dalla fragranza tutta particolare. Ogni sera lo legava all’armadio e lo frustava, rendendogli il doppio delle sferzate che lei stessa aveva ricevuto. Tutto ciò le dava una soddisfazione ed una sicurezza di sé che mai aveva provato.

Ovviamente tutto questo strazio e queste angherie il ragazzo le poteva sopportare soltanto grazie all’amore e alla venerazione che provava per lei, che era molto diversa dalla sottomissione esclusivamente sessuale con la quale si offriva a Valeria. Ciò che più lo gratificava era vedere il sorrisino di soddisfazione e di goduria accennarsi sul volto della sua dea, sentire quella risatina acuta che faceva da cornice ad ogni suo ordine.

Non vedeva l’ora che arrivasse la sera: a quel punto era infatti forzato ad assistere alle effusioni amorose che le due si scambiavano sensualmente sul divano (Alessandra vi si sottoponeva malvolentieri, ma era il prezzo da pagare per i privilegi che le erano concessi). Mentre si baciavano, si carezzavano, si scaldavano e leccavano a vicenda il povero Daniele era costretto a guardarle in ginocchio, nudo, col divieto assoluto di toccarsi. Pian piano arrivarono anche ad avere un rapporto sessuale: Alessandra venne penetrata da Valeria con un grosso dildo rosso, mentre ansimava e mugolava, contorcendosi dal piacere fino ad allora mai provato: alla fine Daniele procedette, oltre che a ripulire il sesso delle sue padrone, anche a succhiare il dildo usato. Attimi di terrore quando Valeria ebbe l’idea, per fortuna non portata a termine, di penetrare anche il ragazzo analmente.

Quel lusso e quell’atmosfera di gaudio terminarono, non diversamente da come erano iniziati, ad uno schioccare di dita di Valeria. Ora erano tutti e due suoi schiavetti.

“Stasera viene una nostra amica. Scoprirete dopo chi è! Ihihihihih. Mi raccomando, non fatemi fare brutte figure!”

I due, terrorizzati, scoprirono che si trattava di Letizia: carina di volto, castana, un po’ larga di fianchi ma attraente nel complesso. Rimase sorpresa nel vedersi due dei suoi compagni di scuola inginocchiati ai suoi piedi. Valeria le disse: “Guardali, te lo saresti mai immaginato? Sono i miei schiavetti ora, pronti a fare quello che voglio. Ora sono anche i tuoi, puoi divertirti quanto vuoi con loro ihihihi”

Vinto lo stupore e anche un certo imbarazzo iniziale, Letizia disse: “quella stupida cagnetta tanto non serve a molto, è una sfigata, non se la incula nessuno e va anche male a scuola. Quell’altro poi, fa tanto il superiore, e poi eccotelo qui” – disse, dandogli un calcio deciso su un fianco, facendolo piegare. Scoppiarono a ridere. Forse Letizia si ricordava che, non molti anni prima, Daniele aveva provato a sedurla, senza successo, risultando goffo, impacciato e alla fine anche fastidioso al punto da farsi detestare.

“Avanti, baciami le scarpe, frocio!”. Riluttante, il ragazzo si avvicinò, sotto il costante sguardo severo di entrambe le ragazze, alle scarpe di Letizia, sporche e impolverate, e le baciò, mentre la ragazza sollevava ed abbassava la punta del piede in segno di superiorità e impazienza. Fatta questa operazione, lo colpì in pieno volto con un calcio. “Se lo merita, non è buono nemmeno a baciarmi i piedi!”, e le due risero di pancia.

Letizia si tolse le scarpe da ginnastica bianche: i suoi piedi puzzavano, anche a causa della corsa che aveva fatto per non perdere l’autobus. Alessandra, mugolante, era appesa alle maniglie della porta, accanto all’albero di natale. Le lucine rosse e verdi si riflettevano su quel corpo biancastro, scosso da brividi, facendo rilucere l’arcata della schiena.

“Te li saresti immaginati questi due così!” disse Valeria, con un sorriso di soddisfazione.

“Ma pensa! Io che quando li vedo la mattina a scuola, no, non ci posso ancora credere!” rispose Letizia.

“Non hai ancora visto niente! Adesso vedrai!”

Piedi Alessandra 2Letizia diede un’occhiataccia a Daniele, il quale, inginocchiato alla destra del divano, a testa bassa stava baciando e leccando le scarpe di Letizia, rosso di vergogna. Si sentiva infiammare dalle ondate di eccitazione e di umiliazione, che sembravano fare eco alle vampate di odore che provenivano da quelle scarpe. “Schifoso che non sei altro, mi fai vomitare…”

Per ordine di Valeria, il ragazzo si stese ai loro piedi; si sentì schiacciare la testa dai caldi calzini di spugna di Letizia, che iniziarono ad essere strofinati, costringendolo ad assecondarli con il movimento della testa; intanto Valeria premeva con gli stivali sulle cosce, ridacchiando.

Le due avevano iniziato a lanciare piccoli oggetti contro Alessandra, la quale ogni volta soprassaliva, vuoi per il dolore, vuoi per lo spavento: a denti stretti, sperava che sarebbe finita presto.

Le due si erano stufate, ed ora Alessandra, rivestitasi, era in ginocchio accanto a Letizia con un vassoio. Daniele, nudo come un verme, era di fronte alle ragazze, eccitato.

“Cioè, roba da non credere. Ma ti rendi conto che questo si arrapa con la puzza dei miei piedi?”

“I maschi fanno veramente schifo a volte…ihihihihihihi”

Letizia allora si fece togliere i calzini con la bocca, li arrotolò e li infilò in bocca ad Alessandra, dandole un colpetto sulla guancia.

“Leccameli, avanti, pulisci bene!”

Daniele iniziò a nettare i piedi di Letizia con la lingua, dai talloni, su per le piante, fino alle dita: la sua bocca si riempì rapidamente di un sapore salino e acidognolo. Poi iniziò un lavoro certosino di pulizia fra le dita, succhiandole una ad una, ed ingoiando i pelucchi che i calzini avevano lasciato. Il tutto fra le risatine e lo scherno delle ragazze. Ora la sua reputazione era compromessa definitivamente: Letizia, che lo aveva fotografato col cellulare, lo avrebbe sputtanato per tutto il paese senza pietà.

L’attenzione di Valeria tornò a concentrarsi su Alessandra, in evidente stato di sofferenza a causa del freddo. La vedeva scossa da brividi, con la pelle d’oca e con difficoltà a respirare, a causa del calzino. Si avvicinò, la carezzò, e le sfilò il calzino di bocca, e, tenendolo con la punta delle unghie, lo lanciò addosso a Daniele. Continuò ad accarezzare il corpo della ragazza, dandole dei colpetti sulle natiche e dei pizzicotti sui capezzoli, con fare beffardo. “Valeria, posso andare al bagno”, disse, mugolante e con le lacrime agli occhi: era più di re quarti d’ora che era legata, e per di più aveva bevuto molto. “Piccina mia, ma non c’è bisogno di andare il bagno, sarà il bagno a venire da te!” disse Valeria, guardando Letizia e ridendo con essa. Le due fissarono severe Daniele, poi Letizia lo spronò con un calcio. “Tesoro, sai quello che devi fare, vero? O vuoi che la tua Alessandra la trattenga ancora per molto?”, disse Valeria. Era troppo, non aveva mai costretto il ragazzo ad un gesto così umiliante: la guardò prima con aria supplichevole, provando poi a protestare “Padrona, ti prego, questo no! Ti scongiuro, non mi puoi chiedere di fare questo!”. Valeria si avvicinò, gli mise la mano sul mento e si pose faccia a faccia con lui: “C’è sempre una prima volta, caro! A cosa vuoi che serva la tua bocca, altrimenti? Ti ho solo chiesto di diventare il cesso del tuo amore Alessandra! Non mi dire che le vuoi negare questo servizio! Questo sì che è un gesto d’amore!”.

Risero entrambe, e Letizia gli assestò un calcio nel sedere, per farlo avvicinare ad Alessandra. Daniele le guardò con la rabbia negli occhi, ma l’eccitazione era più forte dell’umiliazione, più forte del disgusto che provava all’idea di bere dell’urina. Si andò a sistemare, in ginocchio, sotto il sesso della schiavetta, osservando la delicata peluria castana: spalancò la bocca, ed attese. L’orina non arrivava.

Alessandra, vuoi per il freddo, vuoi per il disagio, vuoi per l’imbarazzo, non riusciva a liberarsi di quel peso che gravava sulla sua vescica: guardava il soffitto, tremolante e con le lacrime agli occhi. Le si avvicinarono le altre due ragazze. Valeria la carezzò sulla schiena in maniera sensuale (di una sensualità che però sottendeva beffa e sarcasmo), percorrendo tutto il suo corpo, le natiche, le cosce, la pancia, strusciandosi anche addosso, per poi sussurrarle all’orecchio: “Tesoro, rilassati, coraggio”, stampandole un bacio sul collo, “devi solo rilassarti, non pensare a niente, dai, dai….”. Letizia, dal canto suo, si limitava ad osservarla, con uno sguardo fermo e deridente. Dopo un po’, Alessandra iniziò ad orinare, dapprima a getti intermittenti (che andarono a bagnare il busto e il viso di Daniele), poi con un flusso prolungato e continuo di nettare bianco-giallastro, che andò a riempire la bocca del ragazzo.

Daniele sentì una vampata di calore in bocca e sul viso, accompagnata dal sapore acre del liquido che andava a riempirgli la bocca. Si sforzò di deglutire (fu difficilissimo), per evitare che il liquido tracimasse. Bevve tutto, con una fatica non indifferente. Alla fine, rimase trafelato. Le due nel frattempo erano in preda a fragorose risate, miste a insulti che non si riuscivano a comprendere. “E bravi i miei due cucciolotti!” disse Valeria. Poi fu il turno di Letizia, che, con un calcio dato con il dorso del suo piede (portava un 39), richiamò l’attenzione dello schiavo. “Non vedi che si è sporcata tutta, qui, è schizzata anche sul pavimento!Finisci di pulirla!”. Di fronte allo stordimento e all’esitazione di questo, gli diede un calcio sui testicoli, che lo fece piegare e urlare di dolore, un urlo soffocato dalla difficoltà di respirare! “MUOVITI!”. Spaventato dall’imminente arrivo di un altro colpo, si sforzò all’inverosimile per iniziare a leccare le goccioline cadute sul pavimento. Leccava forsennatamente le mattonelle fredde, raccogliendo qua e là le gocce di liquido, mentre diventava sempre più rosso per la pesante umiliazione che stava subendo (per di più da parte di una ragazza che aveva corteggiato e dalla quale era stato rifiutato e detestato). Sentì il suono impietoso dello scatto del cellulare, seguito dalle risate delle due ragazze: lo stava nuovamente fotografando, e più di una volta. Venne schiacciato prima dal piede di Letizia, che premeva a scatti e con forza, poi anche da quello di Valeria, più delicata. Quando la pressione cessò, il ragazzo alzò la testa verso la fica di Alessandra. La vide gocciolare, poi vide alcuni rivoli che le scendevano lungo le cosce e i polpacci, fino ai piedi: a quella vista, l’eccitazione, che era scomparsa per il calcio di letizia, recuperò vigore. Iniziò a leccarle prima i piedi: quella delizia, che più e più volte aveva avuto modo di assaporare, ora, insaporita dall’orina, acquistava un qualcosa di particolare, che portava la sua eccitazione ai massimi livelli. Leccava con ardore, prima il dorso del piede, poi fra le dita, i talloni, e tutto intorno. Poi salì verso i polpacci,dietro le ginocchia, fino ad arrivare alla vagina. Quella vista fu sufficiente a fargli dimenticare tutti i dolori: iniziò a leccarla, partendo dalle grandi labbra, scivolando sulla peluria. Prima con delle pennellate lunghe e incisive, poi sempre più localizzate e frequenti, penetrando all’interno. Mentre leccava, le due lo incitavano con dei calcetti, lo afferravano per i capelli, per guidarlo dove volevano loro. “Guarda come lecca, gli ho insegnato bene eh? Ihihihihihih”. “Che schifo, mi fa vomitare questo coglione…”, rispondeva Letizia, “Pensa se tutte le poveracce alle quali hai rotto le palle sapessero che bevi il piscio!”. “Guarda che bel bidet portatile che abbiamo, ahahahahah!”.

Intanto Alessandra si stava rilassando, riscaldata dalla lingua del suo compagno, e da quella sensazione di calore che la avvolgeva. Iniziò ad eccitarsi, e a gemere in maniera sommessa: “mmmm” “ahahahah”. Quando capirono che si stava eccitando sempre di più, Valeria era propensa a ricompensare la sua schiava facendola venire, ma il sadismo di Letizia fu tale da negarle tale premio: preso per i capelli, Daniele fu interrotto, allontanato e schiaffeggiato (solo per sfregio). Intanto Valeria stava graffiando la schiena di Alessandra, che si inarcava spasmodicamente e freneticamente ad ogni strisciata, accompagnata da un urlo frignante. “Brava Valè, fagliela pagare a quella troia in calore, di avere goduto mentre le ripulivano la figa!”, disse Letizia.

“Ti ha detto male bello, scappa anche a me da pisciare!” disse Letizia. “Muoviti sfigato, andiamo!”: quando furono al bagno, chiuse a chiave, fece stendere il ragazzo nella vasca, vi si posizionò con le gambe divaricate sui bordi, ed iniziò ad urinare sopra il corpo nudo e affaticato di Daniele. Rispetto all’orina di Alessandra, quella di Letizia era più scura, ed aveva un odore più intenso e sgradevole. Il getto caldo ricoprì tutto, ed andò a bruciare sui graffi che segnavano il suo corpo. L’umiliazione fù cocente. Alla fine, Letizia si pulì con la carta igienica, che infilò violentemente in bocca al ragazzo. Poi se ne andò, con fare freddo e apatico, lasciandolo steso nella vasca: Daniele la vide chiudere la porta, e rimase con quel sapore sgradevole in bocca, con la fastidiosa sensazione di umidiccio su tutto il corpo e immerso in quell’odore nauseabondo. Sputò via la carta igienica, e rimase a fissare il soffitto per circa un quarto d’ora, meditando sul degrado e su come la sua dignità era stata calpestata: eppure, non sarebbe voluto stare da nessun’altra parte, era questa la vita che voleva (almeno con le ragazze), che lo appagava e che portava la sua eccitazione sulle vette più alte. Era totalmente schiavo e succube delle sue compagne, e ormai dipendeva completamente dal loro sadismo e dai loro capricci.

Giochi da adolescenti

Piedi Alessandra

Valeria era la più bella della classe: massimo dei voti in ogni materia, amata e stimata da tutti i professori, corteggiata da tutti i compagni e circondata da un harem di ochette.

Alessandra sembrava esserle l’esatto opposto: dal fisico asciutto, carina ma non appariscente, timida, introversa e fragile, scena muta ad ogni interrogazione e spesso vittima dello scherno delle compagne di classe.

Daniele era un ragazzo schivo, che spesso si ritraeva dalle relazioni con i compagni, ma che nonostante tutto godeva di un minimo di approvazione. Dagli interessi insoliti, a differenza degli altri ragazzi non amava affatto le formosità e i seni prorompenti. Forse è per questo che era uno dei pochi (diciamo anche l’unico) ad essersi innamorato di Alessandra. Un amore platonico non ricambiato. La timidezza del ragazzo lo portava a tenersi dentro ogni emozione, anche quando la sua Alessandra veniva derisa e scoppiava a piangere. Ricordava ancora vivamente una scena, risalente alle elementari, nell’abito della quale le ragazzine avevano regalato alla piccola Alessandra un cornetto acustico di carta per scherno, lasciandola in lacrime in un angolo dell’aula, senza che lui avesse avuto il minimo coraggio di consolarla.

Valeria eccelleva, oltre che in ogni attività scolastica, anche in opportunismo: riusciva ad assumere il controllo anche dei ragazzi più sicuri e sbruffoni, piegandoli ai suoi voleri. Con Daniele non c’era stato bisogno: la sua indole servizievole la si sarebbe indovinata a chilometri di distanza. Oltre ciò, era talmente messo in soggezione dalla bellezza di Valeria, che abbassava lo sguardo in sua presenza. Lei iniziò ben presto a “chiedergli” dei favori, come acquistarle la pizza prima dell’entrata, o portarle in anticipo lo zaino su in aula. Di favori scolastici, certo, non aveva bisogno: nessuno era al suo livello.

Al compleanno di Valeria, finalmente Daniele ricevette il battesimo di schiavo. Infatti la ragazza lo aveva attirato con un pretesto nella sua cameretta, mentre il resto della ciurmaglia era intento a fare baldoria, e, mentre gli mostrava le foto appese al soffitto, gli aveva chiesto di raccogliere un oggetto caduto ai suoi piedi. Mentre era accucciato a raccoglierlo, gli aveva sferrato un calcio e, mentre lui era a terra e si lamentava, era scoppiata in una risata fragorosa. Come a minacciarlo per scherzo, gli aveva appoggiato il piede sui testicoli, al che al ragazzo non era rimasto altro da fare se non supplicarla:

“Ti prego Valeria, no, non farlo, farò tutto quello che vuoi!”

“Bene, allora diventerai il mio schiavetto ihihihihi”

Così, nei pomeriggi che seguirono, i due continuarono ad incontrarsi; ad essi si aggiunse la povera Alessandra, alla quale Valeria aveva offerto aiuto per i compiti (un pretesto, in realtà, per mostrarle la propria superiorità e per sminuirla ulteriormente). Prese così avvio una serie di perversi giochi che di continuo scaturivano dalla mentre di Valeria: così, veniva soddisfatta la sua voglia di prevaricazione e la sua vanità, assieme al desiderio di sottomissione troppo a lungo represso da Daniele e al masochismo velato di Alessandra.

Ovviamente Valeria era la padrona assoluta della situazione: si divertiva a far svolgere a Daniele dei compiti sempre più umilianti, fino a farlo camminare a quattro zampe e a baciarle le scarpe, umiliandolo di fronte alla sua amata Alessandra. Amava poi rinfacciare ad Alessandra la sua incapacità in molte materie, come matematica e disegno:

“Tesoro, ma è così ovvio, come fa la tua testolina a non arrivarci? ihihihihi”

Oppure era solita ricordarle gli insuccessi scolastici del mattino stesso o anche passati, spesso divertendosi ad affiancarli ai suoi successi.

Una delle cose che più gratificava Valeria era, dato che era a conoscenza del debole del suo schiavetto per Alessandra, costringerlo a servire anche lei (che piano piano stava diventando una bambola con cui giocare).

Piedi Claudia 2“Leccale i piedi!” era il comando che più frequentemente gli impartiva: e la povera Alessandra era costretta a subire tali servigi senza battere ciglio. D’altronde, Daniele, oltre al senso di umiliazione ed imbarazzo, finalmente poteva sfiorare quel corpo che da tanti anni rappresentava un qualcosa di irraggiungibile. Così si ritrovava a leccare i piedi della sua Alessandra con una foga e una passione che a stento poteva trattenere: l’odore di quei piedi, la levigatezza di quella pelle, il calore di quel corpo erano per lui il Santo Graal tanto agognato e finalmente raggiunto (sarebbe meglio dire concesso). Infatti per nulla al mondo Alessandra avrebbe ricambiato il suo amore. La sua padrona si divertiva sadicamente, nel momento in cui era al culmine dell’eccitazione, ad ordinargli di fermarsi e ad interrompere la sua goduria, lasciandolo fermo, in preda a fremiti, a contemplare l’oggetto del suo desiderio.

Il ragazzo sentiva moltiplicata ed amplificata all’ennesima potenza quella sensazione di impotenza e frustrazione che aveva provato, diverse volte, nel vedere la sua Alessandra derisa e umiliata da Valeria e dalle sue ochette. Ora la sua padrona si divertiva anche a paragonare il suo fisico (quasi da modella) a quello di Alessandra: tastandola e accarezzandola sensuamente, non mancava di fare osservazioni del tipo:

“Ma che tette piccole che hai! Senti, tocca le mie: te le puoi sognare delle tette così. Hihihihiih. Ora ho capito perché nessuno ti viene dietro, a parte quel disgraziato. Hihihihihi. E tu – indicando il ragazzo inginocchiatole dinnanzi – devi essere proprio affamato per ridurti ad andarle dietro. Hihihihihihi”.

Al che, come era naturale aspettarsi, Alessandra scoppiava in un pianto dirompente e ininterrotto, e furiosa scappava in bagno.

Un’altra forma di supplizio era l’indurre forzatamente Daniele ad esprimere giudizi di fronte alle due ragazze. “Chi ha il culo più bello? Diccelo tu!”. Esprimere anche la minima preferenza per Alessandra sarebbe significato andare incontro alle punizioni più raffinate quanto crudeli: dall’annusare i piedi di entrambe per ore, all’essere calpestato, all’essere preso a schiaffi e graffi. All’inizio però la risposta veniva forzata con una strizzata di palle.

Per Daniele erano eccitanti i momenti nei quali la padrona si faceva la doccia, e lui la attendeva in ginocchio, con l’asciugamano pronto a cingerla, mentre Alessandra si sdraiava a mò di tappetino: quando Valeria usciva, calpestava la testa della ragazza e usava i suoi capelli per asciugarsi i piedi.

Ad un certo punto però Valeria si era stufata di essere la sola dominatrice, ed aveva così dato inizio a dei giochi di “ruolo”, nei quali uno dei due schiavetti aveva dei margini di dominazione.

Ad esempio, per un breve periodo a Daniele venne concesso di recitare la parte del marito di Valeria: si baciavano, stavano in intimità, a volte fingevano di fare sesso (non gli sarebbe mai stato concesso), mentre si divertivano a guardare la schiavetta che puliva la casa.

Una volta Valeria aveva deciso di fare un regalo al suo “amore” per compleanno. Lo aveva fatto sedere accanto a lei sul divano, e, mentre lo coccolava, ad un battito di mano era uscita dalla porta della cucina Alessandra, acchittata come una troia, col le labbra colorate di un rossetto scuro, minigonna e stivali col tacco a spilllo. Sculettava e ancheggiava, come le aveva ordinato la padrona.

“Guardala amore, sembra proprio una troia d’alto borgo ahahahahah”.

“Questo è il regalo per il tuo compleanno tesoro! E’ tutta tua, fanne ciò che vuoi…” le aveva sussurrato.

Poi, accarezzando la ragazza (inginocchiatasi al loro cospetto), le aveva detto: “Che c’è tesoro, non t và di essere la troia di Daniele, andiamo….”

E lei, piagnucolando: “No padrona, ti prego…”

“Amore, questa troia si rifiuta di farti un pompino! Io mi sarei incazzata di brutto ad essere rifiutata perfino da un essere del genere!” e appioppò un ceffone alla schiava.

Alla scena il ragazzo si era eccitato all’inverosimile, e finalmente si era ritrovato l’amore della sua vita che gli faceva una pompa magistrale: non resistette a lungo, ed esplose in un gemito di piacere, inondando la faccia della ragazza. Il tutto si era concluso con i due che si abbracciavano e ridevano, e la povera Alessandra arrossita di vergogna e in lacrime.

La sera Valeria e Daniele avevano finto di fare sesso e di pomiciare, mentre ad Alessandra era toccato il compito di “aiutare” la sua padrona a far erigere il pene del ragazzo. In seguito i due avevano continuato ad amoreggiare,mentre la ragazza, in ginocchio, stava ferma a guardarli: alla fine avevano simulato un coito anale, con Daniele che strusciava il pene fra le natiche di Valeria ed esplodeva di piacere.

Dopo che Alessandra si era rifiutata di ripulire la cappella di Daniele, la padrona, infastidita, decise di punirla. Alessandra era particolarmente insofferente al dolore: bastava che la sua padrona alzasse la mano contro di lei, che, tremolante e lagnante, si gettasse ai suoi piedi supplicandola. Stavolta però non servì a nulla: venne imbavagliata, ammanettata contro l’armadio, e frustata con una cintura. Daniele cercò in un primo momento di fermare la padrona, dati i gemiti e i pianti dirompenti della ragazza, che inarcava la schiena e tremava. Ma in seguito un senso di eccitazione e di sadismo prevalse sulla premura e sulla pietà, accresciuto dai gemiti soffocati ed acuti che quel corpo, nudo e arrossato, emetteva. Iniziò così a masturbarsi, fino a quando la padrona lo persuase, con mille lusinghe, a procedere lui nella punizione.

Prese a colpirla sempre più forte: gli sovvennero alla mente le numerose volte che, da ragazzino, era stato respinto, tutte le volte che, durante le lezioni, si fissava a guardarla e non veniva ricambiato neanche da un’occhiata sfuggente, tutte le volte che aveva sognato di toglierle le scarpe e leccarle i piedini. Preso dalla foga, le frustava ora la schiena, poi le natiche, le cosce, fino ai polpacci, la schiaffeggiava sulle chiappe, sulla fighetta bagnata. Quando tali visioni si dissolsero, si accorse che le gambe della ragazza, esausta, avevano ceduto, e ora era sospesa , legata solo sui polsi. Un senso di colpa e di pena pervase il ragazzo, che, cinta Alessandra sui fianchi, iniziò a stringerla a se e a sussurrarle all’orecchio: “Scusami, ti prego, piccola, non volevo, perdonami. Tolse il bavaglio, le liberò le mani: come risposta ricevette uno schiaffo forte e deciso:

“Ti odio, bastardo, VI ODIO TUTTI E DUE!” urlò furiosamente, singhiozzando, scappando nella sua camera. Un impeto emotivo che sarebbe durato poco: infatti, dopo qualche ora, era di nuovo ai loro piedi.

Aliai

Il fumo dell’incenso saliva verso il soffitto, mescolandosi al vapore dell’acqua. Aliai si abbandonava a quella sensazione di calore, di leggerezza, a quel profumo inebriante. Guardava il suo corpo, quelle gambe lucide di ragazza appena diciottenne, i piedini che delicatamente emergevano da un manto di schiuma.

L’ambiente era appena rischiarato dalle candele. Fra le coccole che l’acqua donava alla sua schiena, e il senso di libertà e languore, Aliai batté le mani. Nella semioscurità, accorse Federico, nudo, a quattro zampe, porgendole un bicchiere di aranciata: lo bevve, e schiaffeggiò il ragazzo.

Lo stava fissando: un sorriso misto di diletto e cinismo, di onnipotenza e beffa, si accennava su quelle labbra delicate, contornate da lineamenti dolci, da un viso armonioso e tenero nel complesso, nonostante la dentatura appena fuoriuscente. Le uscì una risatina sguaiata.

Poi, col dito, fece cenno al ragazzo di alzarsi: si rivelò un corpo atletico, magro, tremolante dal freddo, col pene turgido, che emergeva da una selva di peluria. La mano della ragazza, dalle dita affusolate e dalle unghie tinte di rosa, afferrò lo scroto, stringendo forte. Federico si inginocchiò, fra spasmi e fitte di dolore, divincolandosi ed emettendo un gemito di supplica.

Aliai rideva, sempre più divertita: godeva, nel vedere quel ragazzo alla sua completa mercè e disposizione, nel realizzare che quel corpo, che era stato il sogno della sua adolescenza, era ora alla stregua di un giocattolo. Quando lo liberò dalla morsa, lo schiaffeggiò, sempre più eccitata.

“Leccami i piedi!” disse, perentoria.

Federico timidamente si approssimò al bordo della vasca. Iniziò a leccare quella bellezza della natura, partendo dal bordo del tallone, scivolando verso il mignolo, per poi proseguire con dei colpetti di lingua sotto le dita: quel delicato solletico faceva impazzire la ragazza, che rilassò di colpo i polpacci e le caviglie.

Federico suggeva con una soavità quasi femminile le dita una ad una, percorrendo ogni singolo centimetro di quella liscia pelle, di quelle unghie calde e levigate. Improvvisamente, la ragazza sollevò il piede, per poi sferrare un calcio al viso del ragazzo. Indietreggiò violentemente, sentendo una vampata infuocata percorrergli il volto, un vertigine disorientarlo: gli uscì il sangue dal naso.

Lei rideva di pancia, le mancava quasi il fiato: “Ahahahahah, forza! Che fai? Continua, stupido! Ahahahah”.

Continuò, con la testa che gli ronzava. Gli arrivarono altri due o tre calci, più lievi. Mentre leccava un piede, veniva colpito ininterrottamente con l’altro, e cercava di incassare i colpi senza cedere. Poi la ragazza gli imprigionò la testa con un piede dietro la nuca, e con l’altro iniziò a penetrare la sua bocca: il ragazzo iniziò ad emettere un mugolio affannato allo stesso ritmo del piede, che scompariva e riemergeva rapidamente dalla sua bocca.

Ora era prostrato sul tappetino, aspettando che la sua Venere emergesse dalle acque. Aliai sentì un brivido percorrerle la schiena: il suo corpo era percorso da ondate di vapore e di incenso caldo. Appoggiò i suoi piedi bagnati sulla schiena del ragazzo, fredda e contratta. Se li asciugò sui suoi capelli, poi gli diede uno schiaffo con il piede destro.

Federico iniziò ad asciugarla: sentiva le sue sinuosità scorrere sotto le sue mani, poteva ammirare quel corpo sodo, palpitante di libidine. I capelli, poi le spalle, i piccoli seni inturgiditi, le natiche, le cosce, fino ai piedi, che baciò delicatamente. Il suo pene era un fiume in piena, prossimo allo straripamento.

Aliai si abbandonò al calore delicato dell’asciugamano, che percorreva il suo corpo. Iniziò ad eccitarsi. Quella pace venne turbata dalla voglia di possedere il suo schiavo. Guardò il suo pene in erezione, lo schiaffeggiò violentemente. Poi gli diede una rapida e decisa ginocchiata sui testicoli. Lo vide accasciarsi ai suoi piedi, affannarsi. Iniziò a ridere, come posseduta da una forza irrefrenabile: quella della sua vanità e della sua arroganza. Come segno di vittoria, poggiò il piede sulla testa del ragazzo, schiacciandola.

Federico si sentiva ardere dentro: in preda al dolore, non riusciva a respirare. Scottava la sconfitta, la sopraffazione da parte di quella ragazza che aveva sempre guardato dall’alto in basso. Ma il suo orgoglio maschile nulla poteva contro l’eccitazione che da quella condizione gli derivava: sentirsi sotto il completo potere di una femmina.

“Che deficiente che sei! Idiota! Ihihihihihi! Che volevi fare con quel cosino, eh? Adesso ho capito perché Alysia ti abbia mollato! Ahahahahahah! Sei buono soltanto a leccare i piedi!”

Lo condusse ai piani inferiori: qui, una stanza, arredata in stile etnico. E una frusta per cavalli. Intorno, nessuno, loro due soltanto. Alla vista di quell’arnese, il ragazzo fu colto da terrore e scosso da tremiti: avrebbe voluto piangere, gettarsi ai piedi della sua carnefice e supplicarla. La ragazza colse nel suo sguardo il suo imploro, rispondendo con un sorrisino beffardo e carezzandolo in maniera provocatoria.

Era legato, sospeso. Le sferzate lo colpivano sulla schiena, sulla nuca, sulle chiappe. Ad ogni colpo, un grido di dolore intenso, uno spasmo, un segno sanguigno. Grida sempre più forti, disperate. Singhiozzi, pianti, suppliche spezzate da frustate violente. Aliai era sempre più concitata, la foga alimentata da ogni singolo tremito, ogni urlo, ogni contrazione. Sembrava una pizia invasata. Ogni goccia di sangue che rigava la schiena martoriata della sua vittima. Rideva sadicamente, frustava con sempre più veemenza.

Le gambe del povero ragazzo avevano ceduto, singhiozzava come un bambino. Aliai si stancò, gettando a terra la frusta: il suo rumore fece soprassalire Federico, atterrito. Si avvicinò, appoggiò sensualmente le sue mani sulle spalle, ed iniziò a graffiarlo, provocando un urlo disperato. Lo accarezzò sulla testa. Si appoggiò, esausta, a lui. Mordicchiandogli l’orecchio, gli sussurrò:

“Povero tesoro ihihihihi. Ormai sei mio! Non potrai pensare ad altre ragazze. Esisterò soltanto io nella tua vita, nelle tue fantasie. Scordati tutte quelle che te l’hanno data. Scordati Francesca, Alysia, Daniela! Questa sera mi scopo Alessandro, mmmm non trovi che sia proprio un gran picchio? Mmmmm…”

Lo stava percorrendo, con le sue mani soffici, facendolo decontrarre pian piano. La rabbia che le parole di lei suscitavano si trasformava in una eccitazione dirompente. Quella voce calda riecheggiava nella sua testa confusa, solleticava la sua libido. Sentiva i capelli di lei carezzargli il collo, le spalle, fino ai pettorali.

“….mmmmm! Mi raccomando, stasera, mentre sistemi la mia camera, pensa alla tua padrona che gode come una troia, mentre si scopa Alessandro. Ahahahaha…. Mmmm…”

Si stava masturbando. Poi fece succhiare il dito a Federico, allo strenuo delle forze. Lo liberò. E lui si accasciò a terra. Lo salutò con un calcio. “Ciao ciao tesoro ihihihihihi!”.

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