Dalla Russia con perfidia – parte IV

Il momento tanto temuto da Taty arrivò una sera in cui la piccola Natasha non era in casa, e che Mirco e Alena avevano voglia di giocare. In teoria, Tala doveva preparare e servire la cena ai due padroni di casa, ma nella pratica la maggior parte del lavoro dovette essere svolta da Taty, sotto la supervisione della filippina, che si divertiva a insultarlo e a deriderlo.

russian_mistress_08Nei tempi morti, Emanuele veniva fatto accucciare e costretto a leccare le scarpe di tutti e tre a rotazione; per divertimento, allo schiavo venivano inferti shock elettrici ai testicoli. Taty venne ad un certo punto fatta alzare in piedi e costretta a ballare goffamente, a ritmo di shock elettrici, sollevando le risate dei due commensali e della serva filippina. Man mano che i due padroni bevevano e si scioglievano, l’atmosfera si faceva sempre più calda, ed il povero Emanuele era sempre più preoccupato di cosa dovesse aspettarsi dalla matrigna.

Come se gli shock elettrici non fossero bastati,  ogni tanto Alena faceva assestare allo schiavetto un calcio o una ginocchiata sui testicoli da Tala. Verso la fine della cena, i tre si divertirono a tirare calci a turno, da dietro, alla sissy, che era stata fatta mettere a gambe divaricate. Ogni volta che si accovacciava per il dolore, gli veniva ordinato di rimettersi in posizione per il prossimo calcio. Questo supplizio durò per una ventina di minuti, fino a quando i tre non si stancarono.

La sua affettuosa matrigna, per farlo dissetare e recuperare un po’ le forze, versò del vino bianco sul pavimento, e glie lo fece leccare, incitandolo di tanto in tanto con qualche shock elettrico ai testicoli. Mentre Taty era immersa in questo compito, non proprio semplice, Alena iniziò a stimolare il pene del compagno con il piede. Lui invece cominciò a palparle il seno, per poi iniziare a limonare, incuranti dello schiavo che leccava il pavimento. Quando Mirco raggiunse il livello di eccitazione che ad Alena serviva, questa richiamò il figliastro con uno schiocco di dita, facendolo mettere in ginocchio di fronte al tavolo.

Poi fece abbassare i pantaloni di Mirco, dai quali spuntò fuori il suo grosso pene in erezione. Per la prima volta in vita sua, Emanuele si trovò faccia a faccia con un cazzo diritto: ne sentiva l’odore e ne vedeva le vene. Istintivamente, tese ad allontanare la testa all’indietro, ma uno schiaffo sulla nuca da parte della matrigna lo riavvicinò: non aveva molte chance, e il terrore di ricevere da un momento all’altro shock ai testicoli non gli lasciava scelta. Gli si accucciò accanto anche la filippina Tala, ridacchiando e stropicciandosi le mani: lo avrebbe dovuto “guidare” e correggere in caso di errori. Fu proprio lei a dirigere le danze, mentre Alena si limitava ad osservare, con il suo sguardo glaciale, dall’alto la scena, pronta col telecomandino in mano a imprimere gli shock.

Gli venne ordinato di baciare la cappella, poi di iniziare a succhiarla piano piano, coadiuvato dalla mano di Tala dietro la nuca. Spalancando la bocca sempre di più, e ingoiando sempre più in profondità, Taty cercava di fare del suo meglio per vincere la repulsione e il senso di oppressione che quel cazzo le provocava nella cavità orale. Ogni tanto doveva prendere aria per non strozzarsi.  Sentiva il sapore salato del liquido pre-seminale che iniziava a invischiarsi nel palato. La mano di Tala premeva sempre più forsennatamente, mentre Alena, con sguardo divertito e malizioso, lanciava qualche shock al povero figliastro, che faceva sforzi titanici per compiacerla.

Il compagno di lei, sempre più eccitato, aveva iniziato a muovere il bacino e a penetrare la bocca della sissy. Quando fu sul punto di venire, la perfida matrigna lo fece interrompere: voleva rendere il gioco ancora più divertente. Suo malgrado, Mirco estrasse il pene turgido dalla bocca dello schiavo, mentre quest’ultimo, affannato, riprese aria: il sollievo durò poco, dato che gli arrivò una scarica elettrica all’improvviso e un ceffone di Tala, tanto per diletto.russian_mistress_03

Si spostarono in soggiorno, e la sissy dovette seguirli a quattro zampe, mentre Tala la tirava per l’orecchio e le dava calci sulle chiappe.  Venne fatta mettere a novanta gradi, con la pancia su una sedia, e le mani legate alla gamba di questa. La filippina si mise lo strap-on, mentre Mirco si mise davanti alla faccia dello schiavo, impaziente di infilargli nuovamente il suo membro in bocca. Tala iniziò a penetrarlo da dietro, Mirco da davanti. La povera Taty faticava il doppio di prima, e per giunta perdeva la sua verginità anale: a fargli superare tutti quei tormenti era l’idea di compiacere la sua bella matrigna, che, a braccia conserte e col sorrisino appena accennato e con lo sguardo di ghiaccio, osservava divertita quel gioco.

La veemenza di Mirco aumentò sempre di più, in concomitanza con un intensificarsi degli shock elettrici da parte della compagna. Quando stette per venire, come concordato con Alena prima che tutto cominciasse, l’uomo estrasse il pene, e schizzò copiosamente sulla faccia del ragazzo: lo sperma era giallo, denso e maleodorante.  Seguirono grasse risate, shock in sequenza e schiaffi sulle schiappe. Mirco gli sbattè il pene in faccia, strusciandolo per pulire bene la punta, mentre Tala gli infilò nella bocca lo strap-on che aveva violato il suo orifizio anale.

L’umiliazione non era finita qui. Alena, infatti, lo insultò più volte in russo, dandogli della femminuccia e della troia, e decise di lasciarlo legato alla sedia, in quella posizione, con il volto coperto di sperma maleodorante. Gli sputò in faccia, e altrettanto fece Tala, ridacchiando come una stupidina.

Dopo di che, la filippina se ne andò a dormire, mentre la coppia si appartò in camera da letto per fornicare. Dopo quasi un’ora, la cagnetta venne slegata e le fu permesso di lavarsi e di coricarsi: come premio per essere stata brava, la matrigna la ricompensò con delle carezze sulla testa e con buffetti sulla guancia, e le fece baciare i suoi piedi. Amava quella vita, amava la sua matrigna e tutto ciò che faceva per umiliarlo e degradarlo sempre di più: questa era la sua strada, ormai.

Russian Mistress

Dalla Russia con perfidia – parte III

Taty, la sissy, stava pulendo e riordinando la scarpiera della sua padrona. Questa aveva una collezione pressochè sconfinata di scarpe di ogni tipo, colore e forma, da quelle più economiche a quelle più lussuose.Russian Mistress
Quando si trovava in quello sgabuzzino, circondata da tutto quel ben di Dio, Taty si sentiva in paradiso. Era una delle mansioni che svolgeva più volentieri, pur essendo il lavoro lungo, impegnativo e meticoloso.
Poteva sentire il profumo delle scarpe avvolgerla da ogni lato. Pulire le scarpe doveva essere un vero e proprio rituale, insegnatogli a suon di schiaffoni e frustate da Alena nel corso degli anni. Come prima cosa, doveva prendere in mano con delicatezza la singola scarpa, annusarla e baciarla dieci volte. Poi poteva iniziare a pulirla. Aveva l’obbligo di usare la lingua solo per le scarpe di uso comune, ad esempio le decoltee da lavoro o gli stivali. Ogni paio di scarpe aveva il suo posto, ed Emanuele doveva prestare molta attenzione nel riporle nel giusto ordine: al rientro, la sua matrigna avrebbe controllato e lo avrebbe punito al minimo errore.

La stessa operazione la doveva ripetere spesso anche per le scarpe della sorellastra, la principessina Natasha. Quest’ultima si divertiva sadicamente nel gettare di nuovo in disordine tutte le sue scarpe dopo che lo schiavetto le aveva sistemate.
Così che egli doveva ripetere il lavoro daccapo: se avesse potuto, avrebbe senz’altro preso a schiaffoni quella bimba insolente e dispettosa, che invece doveva chiamare principessa e alla quale doveva sottostare per volere di Alena.
Alla filippina Tala spettavano mansioni assai più leggere e sostenibili: anzi, questa spesso scaricava su Emanuele alcune delle proprie incombenze, dato che Alena glie ne aveva dato licenza. Anche se malvolentieri, Taty era costretta ad una certa sudditanza anche nei suoi confronti, il che era forse ancor più umiliante che non il dover sottostare alla sorellastra.
Spesso per punizione Alena costringeva il figliastro ad annusare e baciare le calze, i piedi sudaticci o le scarpe di Tala dopo che questa aveva lavorato.

Mistress Russa scarpe
Un giorno la perfida Alena decise che il percorso di femminizzazione del figliastro dovesse subire un salto di qualità. Per fare ciò, sapeva che l’indole sottomissiva e docile del ragazzo non era sufficiente, così come la castità forzata alla quale lo aveva costretto. Ci serviva, in defintiva, un altro strumento. Lo trovò informandosi sul web, sulle varie community a tema BDSM: era un dispositivo telecomandato che provocava uno shock elettrico ai testicoli.

Lo mise al collo dei testicoli di Taty, appena sotto la gabbia di castità, e lo testò immediatamente, inviando impulsi di intensità e durata variabile per vederne l’effetto sulla povera sissy, che trasaliva o si accasciava a terra in preda a fitte lancinanti. Nel vedere questa scena, Alena provava un piacere sottile, ridacchiando mentre il figliastro, a terra fra gli spasmi muscolari, la supplicava di smettere. Un congegno veramente diabolico: semplicemente spingendo un tasto, la Dea provocava al ragazzo un dolore di gran lunga superiore a quello di uno schiaffo, un calcio o una frustata, con uno sforzo nettamente minore.
Spesso, mentre lei e il compagno erano seduti sul divano, si divertivano a far ballare la troietta davanti a loro, sollecitandola con gli impulsi elettrici. Il percorso di femminizzazione era iniziato proprio dalle movenze di Taty, che doveva indossare anche le scarpe col tacco per quasi tutto il giorno. Anche la voce doveva essere la più femminile possibile, pena ripetuti shock elettrici ai testicoli. Si divertivano un mondo quando Taty finiva per cadere dai tacchi, mentre era sotto shock elettrico. Quando invece faceva la brava, Taty veniva premiata dalla padrona con una carezza.Mistress Russa

Una volta curate le movenze, la voce e l’aspetto fisico, arrivò il fatidico giorno di apprendere l’arte della fellatio e dell’irrumatio. Alena iniziò con piccoli strap-on di gomma, e la maestra incaricata di insegnare a Taty tale arte fu la filippina Tala, dato che la bella russa non si volle abbassare a tale livello di contatto con il suo schiavo. Nuovamente, Taty si trovò in ginocchio di fronte alla colf, alla sua mercè. Alena era lì, in piedi, a supervisionare la lezione e a punire il figliastro con gli shock se necessario.

Tala iniziò con il penetrare la bocca di Taty con falli di piccola dimensione, spingendoli sempre più in profondità nella gola della sissy, che faceva resistenza, tossendo e sbavando per terra. Man mano che avanzava nel percorso, e che aumentava sia la dimensione dello strapon che la profondità e la veemenza della penetrazione di Tala, Emanuele si abituò a prendere aria e a non tossire troppo, vincendo il senso di soffocamento. Dalla pratica della irrumatio passò poi alla fellatio: dovette imparare quindi a muovere il collo e a succhiare con sensualità sempre più elaborata il fallo. In questa fase gli shock erano frequenti e intensi, dato che aveva molto ancora da imparare. La lezione successiva sarebbe stata quella di succhiare il pene reale di un uomo.

Dalla Russia con perfidia

Piedi KarinaLa sua matrigna russa, Alena, lo aveva lasciato, vestito da sissy maid, a pulire la cucina.
Da quando aveva perso entrambi i genitori naturali, Emanuele era andato incontro ad un atteggiamento sempre più freddo e cinico da parte di quella bella signora russa, che pure, quando il padre era ancora in vita, sembrava averlo accolto come un figlio.
Ora aveva appena raggiunto la maggiore età, ed era diventato uno schiavo, un giocattolo nelle mani della sua matrigna e della sorellastra, Natasha (quest’ultima, ancora fanciulla, ma resa viziata dal modo in cui la madre la aveva cresciuta).
Al cospetto delle Dee, doveva sempre stare in ginocchio, non usciva mai di casa ed era costretto a svolgere lavori domestici gravosi, accanto alla giovane inserviente filippina, Tala. Ad ogni minima mancanza, era punito nel modo che la sua matrigna riteneva più opportuno. Gli schiaffi, i calci e gli sputi erano all’ordine del giorno.
Chiunque, dall’esterno, avrebbe giudicato tutto ciò come violenza, vessazioni e abusi. Non sapendo che, nel suo intimo, Emanuele era ben lieto di servire la sua bellissima matrigna, e gioiva delle continue umiliazioni alle quali era sottoposto.
Anche il dover sottostare ai capricci della sorellastra, che pure era ancora una bambina, non faceva che aumentare quel senso di eccitazione che faceva di lui uno schiavo per natura: d’altra parte, anche ciò rientrava neglio obblighi che, nel tempo, Alena gli aveva imposto con freddezza e distacco.
La bella donna dell’est, ora benestante e in carriera presso l’ambasciata, aveva avuto gioco facile in questo: quando il ragazzo era ancora un virgulto, agli albori dell’adolescenza, lei aveva scoperto una gran quantità di materiale virtuale a tema Femdom in una cartella del PC: pur non anvendolo mai detto apertamente, aveva sfruttato a suo vantaggio, con un acume e un calcolo tipicamente femminile, la debolezza del ragazzo.
Ora, totalmente umiliato e degradato, era un semplice oggetto ad uso e consumo di lei, e un giocattolo per sua figlia.

Piedi BambinaLa bambina era quasi una Barbie in carne ed ossa: bionda e bella come la mamma, amava vestirsi con vestitini rosa e tingersi le unghie di mani e piedi di uno smalto vuola con i brillantini. Aria di superiorità e sufficienza, occhi azzurri, amava farsi preparare la colazione dal suo fratellastro, schiaffeggiandolo in continuazione, anche per gioco. Le piaceva truccarlo come un bambolotto, e lo usava spesso come tale, facendolo baciare con le sue bambole.
Si faceva da lui chiamare “principessa”, e spesso gli metteva i piedi in faccia, facendoglieli annusare.
Lo usava anche come pony, facendosi portare in giro per la casa. Talvolta doveva essere la madre a porre un freno al brio giovanile della bambina.
La bellezza di Alena era, per il ragazzo, eterea e irraggiungibile, visto che lei, degnandolo quasi nemmeno di uno sguardo, non gli permetteva il contatto diretto con il suo corpo, non fosse per farsi baciare scarpe e piedi quando rientrava in casa.
Per disciplinare la sua sissy, le aveva imposto una chastity built: per Emanuele, ribattezzato Taty, questo era il fardello più pesante da portare, dati i bollenti spiriti dovuti all’età e agli ormoni in circolo, e al fatto di avere una gnoccona di un metro e novanta come matrigna.
Alena, dagli occhi di ghiaccio, sapeva passare da un atteggiamento freddo, distaccato e algido a uno deridente e umiliante, a seconda di come le girava: nel secondo caso, non si risparmiava di ricordare al ragazzo la sua scarsa virilità, il suo fisico gracile e di aspetto non gradevole, e il fatto che sarebbe stato per sempre un essere inferiore alla sua completa mercè.

Piedi Russa
Per umiliarlo ancora di più, e per ribadire la sua superiorità slava, aveva iniziato col tempo ad impartirgli gli ordini in lingua russa. Il povero Emanuele, quando non capiva, veniva sgridato e schiaffeggiato: di necessità virtù, pian piano aveva assimilato i comandi della matrigna e della sorellastra, e scattava per esaudirli.
Sventolava spesso la chiave della gabbia di castità, appesa ad una cavigliera oppure alla collanina, davanti alla faccia del ragazzo, ricordandogli di avere il controllo assoluto sulla soddisfazione dei suoi istinti sessuali. La castità poteva durare anche settimane, a discrezione della matrigna. La soddisfazione dei bisogni sessuali avveniva nel seguente modo: una volta liberato il membro di Taty, che istantaneamente diventava turgido, egli aveva il permesso di masturbarsi, in ginocchio sul pavimento e con lo sguardo rivolto in basso, tutto sotto lo sguardo fisso e glaciale, a tratti beffardo, della padrona, che a volte batteva la punta della scarpa sul pavimento, come a comunicare di fare rapidamente, oppure faceva commenti sulle dimensioni del pene di Taty.

Piedi BambinaQuando finalmente lo schiavo schizzava sul pavimento, la matrigna schioccava le dita e indicava in basso: era il segnale che lo schiavo doveva provvedere a pulire il frutto della sua agognata concupiscenza con la lingua. Si accucciava e iniziava a leccare ogni goccia, mentre lei gli premeva la scarpa in testa per umiliarlo ancora di più. Finita la pulizia, il pene veniva di nuovo recluso a forza nel suo angusto guscio, non sapendo quando sarebbe potuto tornare di nuovo libero.
Accadeva raramente che anche Tala, la servetta filippina, venisse coinvolta nelle umiliazioni della povera Taty. Quando Alena era di buon umore, faceva mettere a Tala il sedere sulla faccia del ragazzo, che si masturbava fino a schizzare sui piedi, odorosi e sudaticci, di questa. Poi, ovviamente, li doveva ripulire con la lingua. In tali frangenti, la pena dello schiavo era resa leggermente più piacevole.
Presto Alena aveva portato un compagno stabile a casa loro. Emanuele, detto Taty, aveva dovuto iniziare a servire anche lui, che si era reso sempre più complice della compagna nel dominare il figliastro.

Divina Giulia e Padrona Jasmine

Divina Giulia 3Cammino a fianco delle mura aureliane, un caldo pomeriggio di estate. Non si incrocia un’anima. La Divina mi attende. Forse sono in ritardo, e non so dove devo andare. Mi fermo sotto la pensilina del bar, nell’attesa che la Divina mi dia l’OK per raggiungere la location. Ho la gola secca a causa dell’arsura, quindi penso di andarmi a prendere qualcosa al bar alle mie spalle. Il mio pensiero viene interrotto dalla chiamata della padrona: al telefono, mi rimprovera per il ritardo. Ho perso la cognizione del tempo, non so di quanto ho fatto tardi. Dice che si deve cambiare: “I piedi ti piacciono odorosi? Allora non me li lavo!”. La sua voce è calda e accattivante.
La serranda del doungeon è socchiusa, mi devo accucciare per entrare. Non appena alzo gli occhi, mi trovo di fronte due autentiche Dee, che hanno gli occhi vitrei puntati su di me. Mi porgono le mani e le bacio umilmente. Sono teso, e la Dea Giulia mi fa notare che ho lasciato aperta la chiamata al telefono. Mi fanno spogliare: rimango in mutande, in ginocchio, con le rose in mano. Divina Giulia me le prende dalle mani, poi arriva Jasmine che, rapida, mi mette il collare, al quale viene agganciato un guinzaglio. Il mio sguardo non può che andare ai bellissimi piedi di Jasmine, il cui odore mi inebria le narici.
Quasi intuendo le mie necessità, la Divina mi fa abbeverare in una ciotola. Bevo l’acqua con la lingua, da bravo cane, mentre la padrona continua a riempire.
Le Dee si divertono poi a lanciare una pallina, che devo rincorrere a quattro zampe, prendere con la bocca e riportare. Nel fare ciò, il guinzaglio si impiglia nello specchio, che per poco non mi cade addosso; vengo salvato dalla magnanimità di Padrona Jasmine.
Come seconda prova, vengo fatto sdraiare sul pavimento, e mi ritrovo con i piedi di entrambe in faccia. L’odore è sublime: più pungente quello di Jasmine, più greve quello della Divina.
I piedi di Jasmine scorrono nudi sulla mia lingua, facendomi degustare il salato del suo sudore. Giulia indossa invece un paio di calze, che sfregano morbidamente sulle mie guance. Vedo gli sguardi imperiosi delle Padrone puntati su di me. “Vedi di leccare bene! Guarda che abbiamo la frusta!”, minaccia Jasmine.
La divina mi ordina di masturbarmi. Il mio inutile verme stenta ad assumere consistenza, nonostante la Divina sia in attesa con un righello in mano: vuole mettermi di fronte alla limitatezza della mia virilità. Le Divine iniziano a conversare disinvoltamente fra loro, nella vana speranza che il mio membro inutile possa prendere vigore.

Divina Giulia
Poi la Divina mi fa adorare le sue scarpe rosse col tacco, che lecco avidamente. “Prendimi l’accendino a destra!”, mi ordina. Naturalmente lo cerco alla mia sinistra. “DESTRA!”: la padrona mi sta facendo proprio perdere la testa. Finalmente lo trovo, e accendo la sigaretta della padrona.
Di fronte alla criticità della situazione, Divina Giulia cerca di ricorrere agli estremi rimedi. Mi fa sedere sul piatto della doccia, e inonda il mio volatile barzotto con un getto caldo del suo nettare divino. La visione paradisiaca della patata della Dea, unita al tepore del suo nettare caldo che scorre su di me, fanno aumentare la rigidità del pene. Ma non è abbatanza.
Mi lasciano lavare, ma nella fretta e per il black-out emotivo che la divina mi ha indotto dimentico di chiudere lo sportello. La Padrona me lo rimprovera.
Abbassano anche le luci, credendo che quel briciolo di virilità che alberga in me si possa risvegliare. Tutto è vano: sto deludendo le mie Padrone, che se la ridono. “E’ così che servi la tua Dea? Ma che delusione che sei!”, dice Giulia.

Divina Giulia 5Si mettono ai miei fianchi, mentre io in ginocchio continuo a masturbarmi: sembra che il mio membro non ne voglia sapere, come se la loro Divinitàlo avesse paralizzato. La Dea mi mette il suo sedere in faccia, ordinandomi di annusare: la fragranza dell’ano divino finalmente sortisce i suoi, seppur lievi, effetti.
“Se non ti si addrizza nemmeno così significa che sei frocio, e ti inculiamo!”, minaccia Giulia, mentre adesso è Jasmine che mi fa adorare il suo culetto. Poggia il suo piede nudo sul mio inguine, ed esplodo in un’eiaculazione in onore delle mie Dee.

“Finalmente!” – esclama Giulia – “hai visto, le minacce servono a qualcosa allora! Jasmine, ci serviva il tuo culo per farlo venire!”.
Concludo l’opera ripulendo, su ordine di Giulia, il prodotto della mia concupiscenza. “Ma guarda che dolce cagnolino”, mi saluta Jasmine. Ci salutiamo, con la speranza di rivederci presto.

Domiziana – parte V

piedi KarinaLa serata precedente si era tenuta la festa delle scuole, durante la quale Domiziana aveva conosciuto un ragazzo. Aveva ballato con lui per tutta la sera, poi si era appartata fuori, in intimità. Di quel momento di intimità, Domiziana aveva mantenuto un piccolo regalino da portare al suo schiavo, alla cena di Carolina dell’indomani.

Domiziana si alzò dal divano, e si diresse decisa verso il ragazzo, che aveva appena finito di nettare i piedi di Carolina. Gli sputò in faccia, allentandogli anche un ceffone.

“Fai schifo, leccapiedi di merda!”, e giù un altro schiaffone. “Ammazza che uomo!”, aggiunse, provocando l’ilarità delle altre. “Tu non sai nemmeno che significa essere un maschio, frocetto! Vero?” – “Si, padrona!”

“Carolina, per lo meno i piedi te li ha leccati bene?”

Carolina si afferrò la caviglia, guardando la pianta del piede: “Diciamo di si, dai! Almeno questo lo sa fare!”, disse, ridendo forsennatamente.

“Perché non ci fai vedere quell’affare inutile che hai fra le gambe?” disse lei. “Voi lo volete vedere?” chiese alle altre. Roberta: “Mah! Io non ci tengo proprio! Che poi siamo sicuri che ce lo abbia?”, disse.

Lui iniziò a provare paura: era già in mutande ed esposto allo scherno di tutte e tre le sue aguzzine. Ora avrebbe dovuto mostrare loro i genitali, non sapendo se oltre agli insulti avrebbe ricevuto anche calci sui testicoli.

“No, per favore. Pietà!”, provò a piagnucolare. Ma non vollero sentire ragioni, e dovette rimanere in ginocchio, nudo come un verme, dinnanzi agli sguardi deridenti e agli insulti di loro.

“Dove vorresti andare con quel coso?”, disse Roberta. “Non sarà nemmeno un decimo di quello di Simone”, aggiunse Domiziana. “Vediamo se lo sai usare almeno!”.

Venne posto di fronte a uno sgabello, in ginocchio, e gli ci venne fatto appoggiare il pene. Roberta glie lo schiacciò con la scarpa, provocando un urlo di dolore, prontamente soffocato da un ceffone. Carolina gli si mise dietro, per tenerlo fermo in caso si fosse dimenato per il dolore. Roberta continuò a schiacciare il membro dello schiavo, che divenne ben presto violaceo. “Mi vorresti scopare, non è così?” gli chiese Domiziana – “Rispondi!” – “Non ne sono degno padrona!”. La risposta non le piacque e lo colpì con un violento ceffone: “Non dire cazzate! Mi scoperesti, eh?”, urlò. “Si, padrona!”, dovette rispondere il ragazzo.

“Lo sapevo, porco schifoso che non sei altro. E secondo te io mi farei scopare da un essere lurido come te? Per di più con quel coso ridicolo che ti ritrovi fra le gambe? Guardalo!”, indicando il pene martoriato.

“Se stanno così le cose” – disse lei – ” scopati la scarpa di Roberta come scoperesti me. Avanti, fammi vedere!”.

Lui, rimasto attonito e ancora indolenzito, ebbe una smorfia di sofferenza. Cercò di far erigere il suo pene, schiacciato sotto la suola della scarpa di Roberta, e iniziò a sfregare tanto quanto gli era consentito dalle sue forze residue.

Il gesto meccanico gli costò non poca fatica, ma il suo pene stentò ad assumere durezza. Rimaneva morbido e floscio, e per di più la ragazza si divertiva talvolta a schiacciare più forte. Mentre il ragazzo eseguiva i movimenti, Domiziana e Roberta lo insultavano e lo riempivano di sputi, e Carolina iniziò a dargli dei morsi sulle spalle.

Ben presto gli venne l’affanno, e sentì una vampata di calore pervaderlo. In un ultimo, disperato sforzo, chiese il permesso di venire. Gli venne concesso, almeno quello, e un getto non troppo potente si riversò sullo sgabello e sulla suola della scarpa di Roberta.

“Che schifo!”, fu il commento di quest’ultima. Carolina invece lo fece alzare e gli diede una ginocchiata sui testicoli da dietro, facendolo piegare. “Guarda che casino che hai fatto, hai sporcato tutto lo sgabello. Adesso lo pulisci con la lingua!”

Piedi Arianna“Prima la scarpa” precisò Roberta; al che lo schiavo leccò il suo proprio sperma dalla suola, con colpi di lingua ampi e lenti. Ben presto la sua bocca si impastò di un sapore piccante, acre e disgustoso. Iniziò ad avere anche dei conati di vomito, repressi da un violento ceffone di Carolina. “Buono, vero? Questa è la tua cena! Ahahaha”.

“Inghiottilo!”, fu il perentorio ordine di Domi. Così fece, suo malgrado, e la smorfia di disgusto che ne seguì fece ridere tutte e tre le ragazze.

“Allora avevamo ragione, sul fatto che sei frocio!” disse Domiziana. “Proprio per questo motivo ieri sera ho pensato di portarti un regalo. Sai, mi sono divertita tanto con Simone.”

Che cosa aveva in serbo per lui? Cosa altro ancora avrebbe dovuto fare per compiacerla? Questi pensieri gli ronzavano in testa mentre lei era andata nell’altra stanza a prendere “il regalo”. Lo scoprì quando lei tornò, con sorrisino beffardo, tenendo in mano un barattolo chiuso. Dentro, un preservativo da cui fuoriusciva un filo di sperma giallastro.

“No, vi prego, questo no!” disse, spaventato quanto disgustato. Già ingerire il suo sperma era stato disgustoso: quel sapore pastoso e piccante gli riempiva ancora la bocca. L’idea di ingerire lo sperma di un altro, per di più del giorno prima, era ancora più vomitevole. Eppure era sottostato a tutte le umiliazioni e le vessazioni che gli erano state imposte, e non si sarebbe sottratto nemmeno stavolta.

“Noooo, dai! Ahahahah”, risero le altre due. Quando Domiziana svitò il coperchio del barattolo, uscì un odore nauseabondo di sperma stantio, tanto che la stessa si sventolò una mano davanti al naso, in un’espressione di disgusto.

“Senti che puzza, annusa! Forza!” disse, mettendogli il barattolo sotto al naso, e roteandolo per fargli vedere meglio il contenuto. “Dillo che era meglio la puzza dei miei calzini, eh?” lo sfottè Carolina.

Il ragazzo tossì e cercò di girarsi dall’altra parte, ma si beccò uno schiaffo da Domiziana, che lo afferrò per il mento e costrinse il suo sguardo verso il barattolo.

Fulminandolo con lo sguardo, gli ordinò, scandendo bene la parola: “L e c c a!”

A quel punto, Carolina lo afferrò per i capelli, reclinandogli il capo all’indietro. “Apri la bocca! Di più!” Mentre lui aveva la bocca spalancata, Domiziana ci fece percolare lo sperma, mentre le altre due guardavano incuriosite la scena.

Gli venne appoggiato il preservativo vuoto sotto al naso.

“Inghiotti!” disse Domiziana, chiudendogli la bocca con uno schiaffo sotto al mento. A fatica mandò giù tutto: il liquido era denso, freddo e dal sapore salato e amaro, molto più cattivo di quello ingerito in precedenza. Fu quasi per vomitare. “Ti piace la sborra, frocetto!” Iniziarono a canzonarlo, mentre lui era in ginocchio, nudo come un verme, con lo sguardo fisso al pavimento e il viso sporco dello sperma di un altro, ardente per la cocente umiliazione a cui era stato sottoposto.

“Mi sa tanto che ti dobbiamo trovare un ragazzo, frocio come te! Ihihihi”.

“Muoviti, vatti a lavare!”: a quest’ordine si alzò, credendo (e sperando) che la serata fosse finita. “Anzi, fermo!”, gli intimò Domiziana. “Vuoi sciacquarti la bocca? Anche se meriteresti di tenerti il sapore della borra di Simone fino a quando non torni a casa, tanto per ricordarti quanto sei sfigato.”

“Si padrona, vorrei sciacquarla se possibile.” rispose lui.

“Bene, Carolina è andata a pisciare, tra poco ti porta il colluttorio! “. Era ancora caduto nella diabolica trappola delle sue aguzzine. Poco dopo Carolina tornò con un bicchiere di plastica trasparente, contenete urina giallo scuro.

“Guarda che colore, sembra birra!” – “Che schifo! Daiiiii!” furono i commenti divertiti delle tre. “Sbrigati, bevila!”

“Padrona no, ti prego! Mi fa schifo!”

“Ti fa schifo? Ma come ti permetti? Hai bevuto la sborra di Simone, mi hai leccato i piedi sporchi e adesso il mio piscio ti fa schifo?” disse Carolina, scattando d’ira e ammollandogli uno schiaffone. “Domi, lo posso ammazzare di botte questo imbecille?” continuò, “Dai! Ahahaha”, rispose Domiziana.

Lo afferrò per i capelli e iniziò ad assestargli una serie di schiaffi sulla guancia destra: “De-fi-cie-nte!”, scandì, intervallando ogni sillaba con un ceffone. “BEVI!”, incalzò!

Riluttante e schifato, prese il bicchiere, e iniziò a bere a sorsi. Roberta, delicatina, non ce la fece ad assistere alla scena e si voltò a guardare la TV. Domiziana, con le braccia conserte, dominava dall’alto la scena, mentre Carolina, come di consueto, si assicurava che il ragazzo svolgesse il compito ordinatogli, pronta a intervenire qualora necessario.

Il sapore amarognolo dell’urina fece venire nuovamente i conati di vomito al ragazzo, ma rispetto a quello nauseabondo dello sperma assaporato poco prima gli sembrò quasi gradevole . Sorso dopo sorso, bevette tutto, sotto lo sguardo penetrante e umiliante delle due ragazze. All’epoca non esistevano i cellulari con le fotocamere, altrimenti sarebbe senza dubbio stato immortalato mentre si prestava alle umiliazioni impostegli. Ormai avrebbe fatto di tutto per la sua padrona, e, di riflesso, per le sue sadiche amiche: il suo orgoglio maschile era stato praticamente annientato durante il suo percorso di schiavitù.

Era ancora caduto nella diabolica trappola delle sue aguzzine. Poco dopo Carolina tornò con un bicchiere di plastica trasparente, contenete urina giallo scuro.

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