Domiziana – parte II

Piedi BimbaI pomeriggi estivi che fecero da contorno al quinto liceo di lui passarono tutti secondo le medesime modalità e secondo schemi ben consolidati. Lui la seguiva come un cagnolino per il paese, mentre lei lo respingeva in malo modo quando non le serviva, usando calci e schiaffi all’occorrenza. Delle volte però l’istinto dominatore di Domiziana si risvegliava, e allora usava il suo schiavetto per divertirsi.

Accadde una volta, in una sera di giugno, che si appartassero nei giardini pubblici, in un’area poco frequentata e anche poco illuminata. Erano lui, la sua padroncina e le amiche di lei: indossava delle infradito rosa. Lo fece mettere in piedi davanti a lei, ed iniziò ad insultarlo, tutto mentre le amiche sghignazzavano e ridevano; lui cercava di difendersi dagli insulti, ma Domi lo azzittiva con decisione: “Sta zitto, o ti arriva una ciavattata sulla bocca!”. Così effettivamente successe, dato che la ragazza gli tirò uno dei due infradito, prendendolo sul naso. “Riportamelo con la bocca adesso, stupido!”. Fu estremamente umiliante e degradante doversi chinare, con quattro ragazze che lo guardavano e lo deridevano, a raccogliere l’infradito impolverato della sua padrona con la bocca, e riportargliela camminando a quattro zampe sui sassolini. Quando arrivò da Domi, che lo fulminò con lo sguardo, era tutto dolorante e aveva la faccia che bruciava. Per tutta risposta la ragazza prese la scarpa, poi lo afferrò per i capelli, piegandogli la testa su un lato e iniziandolo a colpire con la suola dell’infradito sulla guancia. Lui soffriva ed emetteva lamenti, fino a quando lei si fermò e gli chiese, imperante: “Tira fuori la lingua!”. Il ragazzo mugulò qualcosa, quasi a chiedere pietà, ma poi tirò fuori la lingua: Domiziana, per umiliarlo ulteriormente, iniziò a strusciare la suola della scarpa, sporca, sulla sua lingua, che si tinse ben presto di nero. “A qualcosa servi, vedi? Allora, hai capito che non mi devi rompere le palle?” – “Si, padrona”, disse, sputando a terra per il disgusto. Dopo qualche altro insulto da parte delle amiche, Domiziana lo cacciò via con una pedata: “Non farti più vedere finchè non ti chiamo io, capito?”. Quando tornò a casa, il povero ragazzo ribolliva fuori e dentro: aveva i segni delle scarpe della ragazza sulle guance, il sapore disgustoso della terra e della polvere in bocca e il suo orgoglio maschile che iniziava a protestare nel suo intimo. Basta, era troppo quanto gli era accaduto! La prossima volta che la avrebbe incontrata, la avrebbe insultata a sua volta, schiaffeggiata dicendole che era una stronzetta che non valeva niente.

Be presto però, quando questo rimuginio si quietò, riemerse potente la sua natura di schiavo sottomesso: si era umiliato per la sua dea, le si era inginocchiato e le si era dato completamente, permettendole di fare di lui ciò che voleva. Nel guardare i segni lasciatigli dalla scarpa della sua padrona, ebbe un’erezione improvvisa. Dovette così masturbasrsi e ripercorrere con la mente la surreale situazione che si era trovato a vivere. Dopo essersi liberato, aveva un solo problema in mente: come poter obbedire al divieto impostogli dalla sua dea di avvicinarsi fino a nuovo ordine. Ce la avrebbe fatta a mantenersi distante da lei?

piedi Karina 2

Fu dura, in effetti. Soprattutto perchè in un paese piccolo come il loro ci si incrociava di frequente, e comunque dovevano fare il viaggio in treno insieme per andare a scuola. Sul treno cercava di sedersi lontano da lei, tenendo a freno il desiderio di vederla e di adorarla. Quando la incontrava il sabato pomeriggio invece abbassava lo sguardo. Ogni minuto sperava di ricevere una chiamata o un sms, invano.

Poi arrivò un messaggio. Il cuore iniziò a battergli veloce, un forte calore si sviluppò all’altezza del ventre, quando lesse il nome del mittente: “Domiziana”. Allora si era ricordata di lui! Forse lo voleva ai suoi piedi! Sarebbe corso da lei e gli si sarebbe prostrato, pronto ad esaudire ogni suo ordine! Anche di fronte a quelle ochette delle amiche, non gli importava: anzi, più era umiliato, più avrebbe gioito. Coi tasti del cellulare (i touch ancora erano fantascienza, così come facebook), aprì l’SMS della sua padrona, e lesse il suo contenuto:

“Fammi una ricarica da 20 euro. SUBITO!”

Domiziana

Piedi Smalto

Divenne lo schiavo di Domiziana col passare del tempo.

Se ne era innamorato fin dalla prima adolescenza, quando dalla finestra la vedeva, ancora bambina, giocare con le amichette a nascondino sulla strada, durante le serate estive.

Col crescere, durante la sua prima adolescenza, aveva mantenuto quella freschezza e quella vivacità che aveva da bambina, un fisico molto ben proporzionato, lunghi capelli che le scendevano

lisci sulle spalle e che le donavano ancora una sembianza bambinesca. Era corteggiata dai ragazzi del suo paese, ma difficilmente si concedeva a qualcuno, continuando a vivere nel suo mondo dei sogni.

Le prime esperienze amorose, le prime serate in discoteca, le uscite fuori con le amiche le avevano dato sicurezza di se.

Lui aveva vissuto nel chiuso della sua timidezza, adorandola come una dea e facendone la padrona di tutte le sue fantasie. Nessun gesto concreto nei confronti di lei: una parola, un saluto, un gesto di ammirazione. Talmente grande era il senso di inadeguatezza di lui.

Poi, nel corso degli ultimi due anni di liceo, aveva iniziato a fare dei maldestri tentativi di avvicinamento, che ogni volta avevano avuto l’effetto di indisporla. Pian piano, lei aveva iniziato a respingerlo, poi a maltrattarlo ed umiliarlo quando tornavano da scuola in treno. A volte lo picchiava e gli dava dei sonori ceffoni sulle guance.

Lui non si sottraeva a tutto ciò: anzi, il sentirsi alla completa mercè della sua dea gli procurava uno strano senso di eccitazione. Più veniva maltrattato e usato come valvola di sfogo da lei, più continuava a starle sempre vicino. Avrebbe fatto tutto ciò che lei gli avesse chiesto.

Un giorno cambiò tutto. La migliore amica di lei infatti le suggerì di schiavizzarlo. La bizzarra idea iniziò a fare breccia nel carattere coriaceo di Domiziana, che iniziò a fare lui richieste umilianti mentre erano sul treno o in giro per il paese. Gli chiedeva di prendersi a schiaffi da solo, poi di pulirle le scarpe: una volta gli fece pulire, oltre che le sue scarpe, anche quelle di tutte le sue amiche, mentre erano ad una festa, in disparte. Se non faceva bene il lavoro, lo prendeva a schiaffi o a calci sui testicoli.

piedi Karina 3Le punizioni di Domiziana erano sempre accompagnate dal suo pungente sarcasmo: amava umiliare il suo schiavo e farsi chiamare padrona di fronte alle sue amiche. Una volta, ad una festa di compleanno, gli ordinò di baciarle le scarpe: nonostante l’imbarazzo, lui non si sottrasse all’istinto che aveva di accontentare la sua padrona. “Sei proprio uno schifoso!”, le aveva detto lei, allontanado la sua faccia con un calcio assestatogli sulla fronte. “Dato che ti piace tanto, bacia anche quelle di Carolina”. Il ragazzo così aveva fatto, con lo stampo della scarpa di Domiziana ancora sulla fronte.

Più il tempo passava, più il piacere di avere un ragazzo a sua completa disposizione si impossessava di Domiziana. Iniziò a chiedergli di regalargli costosi profumi, e lui, ancora studente liceale senza un quattrino in tasca, spendeva quel poco che aveva per la sua padrona.

Ad una festa di diciotto anni di un loro amico, Domiziana venne con un paio di belle scarpe bianche col tacco. Lui chiese di poterle baciare, ma lei si rifiutò: aveva ben altro in mente. “Baciare è troppo poco!”, disse, “me le devi leccare!”. Il ragazzo simulò sdegno, ma nel suo intimo non vedeva l’ora di degradarsi ed annullarsi fino a questo punto per lei. Così si appartarono nella macchina di un loro compagno, assieme all’amica Roberta. Fu lì dentro che Domiziana lo prese per i capelli, schiaffeggiandolo e ordinandogli di leccarle le scarpe. Rispetto a sua sorella, che era una vera e propria maestra nel dare schiaffi, Domiziana era ancora maldestra e troppo impulsiva. Alzò il piede e lo porse al ragazzo, che iniziò timidamente a leccare le scarpe, mentre la sua dominatrice lo guardava ferma: nel suo sguardo, trapelava derisione, compiacimento nell’avere un ragazzo ai suoi piedi, pronto a fare qualsiasi cosa per lei, e divertimento. Intanto Roberta, inzialmente schifata dalla scena, aveva preso a deriderlo, e ogni tanto lo schiaffeggiava.

“Guarda che schifoso, sei una merda!”, e ridevano entrambe. Poi Domiziana chiese all’amica se volesse provare anche lei a farsi leccare le scarpe: inizialmente si rifiutò, ma poi l’idea iniziò a stuzzicarla: “Lecca quelle di Roberta adesso!”. A nulla servirono le (simulate) obiezioni del ragazzo, che nulla poteva fare se non obbedire alla sua padrona. Così iniziò a leccare le scarpe a Roberta: il sapore della polvere gli impastava la bocca, ma l’eccitazione della situazione era tale da farlo procedere con sempre più convinzione e veemenza. Fino a quando le due non lo fecero smettere, respingendolo.

Tornò da quella festa eccitato all’inverosimile, e si dovette masturbare non appena messo piede in casa. Chissà cosa lo avrebbe atteso nel futuro.

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