Sara era una padrona sui 35 anni, corpo statuario, mora, occhi azzurri e dei piedi praticamente perfetti. Sapeva essere tanto dolce quanto spietata, e sapeva piegare gli uomini al suo volere usando la sua bellezza e anche la sua astuzia.
Michele era un ragazzo di 20 anni che viveva con lei, e che da circa 3 anni era divenuto succube del suo volere, fino a diventare il suo schiavo. La sua padrona non gli aveva mai negato di continuare gli studi, ma tutto il resto della giornata lo avrebbe dovuto dedicare a svolgere i compiti domestici, a fare le spese e a soddisfare i capricci e i desideri della sua dea.
Quando la sua padrona tornava dal lavoro, controllava se le pulizie erano state svolte a dovere, e al minimo difetto (che necessariamente era presente) schiaffeggiava fermamente e impassibilmente il suo cucciolo. A tavola, se il pranzo che le aveva preparato non era di suo gradimento, puniva lo schiavo con ceffoni e calci, il tutto condito con insulti; ogni volta si divertiva a ribadire quale fosse la posizione del suo schiavo, e che ormai non aveva alcuna speranza di tornare alla sua condizione originaria, a tal punto di degrado ed umiliazione era giunto. Ogni volta, in segno di sottomissione, lo schiavo leccava e baciava la mano che lo aveva colpito, scivolando delicatamente con la lingua attorno al grosso anello che la padrona indossava, e che gli procurava ancora più bruciore.
“Sei un idiota, un coglione, un fallito. Sei un buono a nulla”: nella sua voce non c’era mai rabbia, ma fermezza e spesso derisione; sovente scoppiava in risatine, che aumentavano ancora di più il senso di umiliazione e la frustrazione del ragazzo.
Ogni volta che la padrona tornava dai turni di lavoro, il ragazzo la accoglieva prostrato sul pavimento, baciandole i piedi dieci volte ciascuno. D’inverno era il turno degli stivali, che la padrona possedeva in abbondanza e di ogni tipo: spesso, quando pioveva, erano sporchi e umidi, mentre, nei giorni di sole, erano impolverati, ma qualunque fosse il loro stato la padrona non faceva sconti al ragazzo. L’unica eccezione era stata un giorno in cui Sara aveva calpestato degli escrementi di cane: in quel caso lo aveva costretto ad avvicinarsi con la lingua, senza toccarla, anche se poteva sentirne l’odore col costante terrore di sfiorarla. D’estate, invece, lo schiavo aveva il privilegio di poter baciare e leccare l’innumerevole varietà di sandali indossata dalla padrona, e di poter baciare le sue unghie curate e smaltate.
Dopo le feste di benvenuto la padrona era solita sdraiarsi sul divano, facendosi leccare i piedi provati dalle fatiche del turno lavorativo. Spesso i piedi erano sudati e puzzolenti, ma lo schiavo era stato addestrato a leccarli fino a ripulirli del tutto e far quasi scomparire l’odore; la padrona sapeva che questa pratica era estremamente umiliante e degradante per il ragazzo, per questo era solita deriderlo e beffeggiarlo durante questo servizio: “ma guarda che uomo che sei, ogni ragazza cadrebbe ai tuoi piedi hihihihihi che fascino, che virilità! Bravo cucciolotto mio, lecca, lecca, avanti!”, e a questo la padrona aggiungeva percosse e frustate per sollecitarlo.
Un compito particolarmente gravoso per lo schiavo era quello di tenere sempre in ordine la scarpiera della padrona, prima leccando per bene, poi pulendo le scarpe che la padrona aveva indossato.
Spesso la padrona applicava al pene del ragazzo una gabbia di castità per settimane, ben sapendo che la giovane età del suo cucciolo rendeva l’eccitazione sessuale particolarmente intensa e frequente. Col tempo la padrona aveva imposto allo schiavo di assistere segretamente ai suoi rapporti sessuali con i diversi amanti, che erano molto frequenti, dapprima soltanto acusticamente, poi sbirciando attraverso la serratura; il tutto, ovviamente, costretto dalla CBT.
Ma adesso la padrona aveva deciso di andare oltre. Tornata dal lavoro, schiaffeggiò lo schiavo (per puro divertimento), poi lo accarezzò con delicatezza sulla nuca, e gli sussurrò all’orecchio: “stasera è una serata particolare, dovrai assistere alla mia trombata con Giovanni, poi, dopo avermi ripulito la passera, ripulirai anche lui! Ti piace?”
Il ragazzo, perplesso, rispose: “no padrona, mi fa schifo, la supplico, non mi costringa a questo!”.
Lei: “Oh, povero il mio cucciolo! Lo farai, vedrai che ti piacerà, lo so che ti piace!”, accarezzandogli il pene e sentendo che era eccitato!
A qualche ora dall’arrivo del suo amante, portò lo schiavo in bagno; questo attese inginocchiato sul tappetino che la padrona si lavasse, e quando la padrona uscì, le infilò l’accappatoio con lo sguardo costretto sui piedi di lei. Poi si mise sdraiato e la padrona gli montò con tutti e due i piedi sul viso, asciugandosi. Diede un calcio in faccia al ragazzo, che, rialzatosi, le asciugò i capelli e le fece la piastra (ovviamente in castità). Poi la padrona lo fece mettere in ginocchio, si taglio le unghie dei piedi e le fece mangiare al ragazzo, che le raccolse dal pavimento con la lingua. Le smaltò poi le unghie di mani e piedi di rosso, asciugò lo smalto soffiando e si beccò un bel ceffone alla fine. Poi vestì la sua padrona con calze a rete bianche, minigonna e scarpe col tacco alto, sempre bianche. Accarezzò il ragazzo e disse:
“Bravo il mio cagnolino, ti piaccio, vero?”
“Si padrona, è bella come una dea.”
“Pensa stasera che bel pisellone che mi gusterò, non come il tuo! Il tuo pivellino è destinato a rimanere nella sua gabbietta ancora per tanto, tanto tempo! Ihihihihi”
“Massaggiami bene le chiappe, voglio che stasera Giovanni le trovi belle sode e rilassate!”
Fu una tortura per il povero ragazzo, costretto a palpare con le mani il sedere della sua padrona mentre il pene premeva sulla gabbia di castità. Poi fu la volta dei seni. Per inasprire la pena, la padrona si inginocchiò accanto a lui, che era a quattro zampe, ed iniziò a strusciarsi su di lui, a toccare il suo pene, a leccarlo sotto il collo e a mordicchiargli le orecchie, ridendo e sussurrandogli: “Povero, povero tesoruccio mio,destinato a rimanere un fallito per il resto della sua vita, hihihihih”.
Dopo di ciò, disse che le scappava la pipì, orinò e dopo, mettendo la faccia dello schiavo nel water e chiudendogli sopra la tavoletta, tirò lo sciacquone. Poi lo schiavo dovette pulire la sua vagina: “Leccami la passera, so che ti piace tanto, lecca via bene tutta la pipì, su!” Lo schiavo leccò per alcuni minuti la sua vagina completamente depilata, assaporando le gocce di urina calda miste agli umori della padrona amarognoli.
Lo schiavo attese inginocchiato, mentre la sua padrona si sistemava il trucco, il rossetto e via dicendo; quando fu ora, il campanello suonò. Lo schiavo andò ad aprire, ed arrivò Giovanni. La padrona lo accolse baciandolo profondamente sulla bocca. Lo chiamava “amore”, ma Michele sapeva che era soltanto uno dei tanti che riempivano le serate della sua signora.
Fu costretto a spogliare l’uomo, togliendo prima le scarpe, poi i pantaloni e infine i calzini, che non emanavano un odore gradevole, accrescendo così l’umiliazione dello schiavo.
“Tesoro, è questo lo stronzetto che mi dicevi?”
“Si, è lui, vedrai stasera ci divertiremo ancora di più dell’altra volta!”
Si recarono tutti e tre in camera. Giovanni non era messo male fisicamente, e, quando si tolse le mutande, si rivelò ben dotato. La padrona si spogliò, e il suo amante iniziò a toccarle la passera, passando poi ai glutei, alla schiena, fino alle tette, mentre il povero ragazzo se ne stava inginocchiato ai piedi del letto a guardare. I due si baciarono, poi lei iniziò ad eseguire una fellatio: fece cenno col dito allo schiavo di avvicinarsi, poi avvicinò la testa di lui al pene che stava succhiando avidamente, orinandogli di annusarlo.
Poi lo spinse via col piede, e il suo amante iniziò a penetrarla energicamente, mentre lei gemeva sempre più forte. Lo schiavo osservava impotente, e, quando provò a rivolgere via lo sguardo, la padrona gli alzò la testa con la mano e gli diede un ceffone. Il rapporto continuò così per alcuni minuti, poi vennero quasi contemporaneamente. Si distesero.
“Amore, quanto sei stato bravo, mi hai fatta godere come mai nessuno”
“Anche tu sei stupenda, sei una gnocca da paura”.
L’uomo si rivolse al ragazzo: “Hai viso come si fa? Tu non la assaggerai mai in vita tua, guarda guarda che è meglio!”
La donna accarezzò e coccolò l’amante, poi chiamò lo schiavo:
“Sei contento che la tua dea abbia goduto?”
“Si padrona, sono molto felice”
Sapeva cosa lo avrebbe aspettato, ormai era rassegnato.
“Avanti piccino, puliscimi la fighetta”.
Lo schiavo esitò un attimo, quando vide lo sperma ancora caldo che le colava dall’inguine, vicino alla vagina.
“Che aspetti, leccalo!”
Lo schiavo provò un senso di disgusto, ma il fatto che era la padrona a costringerlo a questa azione lo eccitava troppo. Leccò tutto lo sperma, anche quello che colava sulle lenzuola. Poi un ordine inatteso: “Lecca anche il pene, non vorrai sprecare tutto quel ben di dio, vero?”
Lo schiavo rimase immobile, tremolante, ma un calcio deciso sulla testa lo spinse a fare ciò che la padrona chiedeva: leccò bene la cappella dell’uomo, quel pene che ormai aveva perso vigore.
Ma questa azione mise in erezione il pene dell’uomo, che disse “Quanto lecca bene il tuo ragazzino, lo dovresti vestire da femmina la prossima volta, così senti tu che pompini che fa, quasi come i tuoi”. I due risero.
Poi la padrona infilò un profilattico sul pene dell’uomo, e ricominciarono il rapporto, che durò più del primo. Alla fine l’uomo venne, e Sara estrasse il preservativo pieno di sperma, si avvicinò allo schiavo, lo accarezzò in maniera provocante e gli fece vedere l’oggetto, dicendo:
“Guarda che bello, è caldo, devilo in fretta sennò si fredda ahahahahah”
Lo schiavo non ebbe scelta, la padrona spremette bene il profilattico nella bocca dello schiavo; non ancora soddisfatta, la padrona andò a prendere un grosso boccale da birra.
“Mi scappa la pipì, a te no?”
“Si, devo fare una pisciata stratosferica”
Risero e guardarono lo schiavo, che aveva lo sguardo fisso ai loro piedi.
La padrona fu la prima ad urinare nel boccale, poi fu il turno dell’uomo; lo schiavo bevve tutto, sotto lo sguardo dei due, che si ammazzavano di risate.
In fine, lo schiavo fu costretto a lavarsi la bocca con il colluttorio per molto tempo; tornato alla camera, fu fatto inginocchiare ai loro piedi, ed iniziò con quelli della padrona, poi passò a quelli dell’uomo, anche se riluttante. Questo disse:
“Sapessi che corsa che ho fatto per venire da te, stavo per perdere l’autobus, ho i piedi tutti sudati”
Risero tutti e due. Lo schiavo leccava le piante dei piedi, alternativamente dell’uomo e della donna, poi passava la lingua fra le dita. Sentiva la puzza dei loro corpi sudati, dei loro umori, dei loro piedi, che si mescolavano; ma sapeva riconoscere l’odore dei piedi della sua padrona, che ormai da tanto tempo era avvezzo a percepire.
Quando l’uomo andò via, a mattina inoltrata, la padrona chiamò il suo cucciolo: “Vieni piccolo, ma come sei stato bravo stanotte! Avrai un premio!”. Lo schiavo si avvicinò, speranzoso.
La padrona tastò i suoi testicoli, gonfi per l’eccitazione; tolse la sua gabbia di castità, poi permise allo schiavo di strofinare il suo pene sulle caviglie di lei. Lo fece aritmicamente, sempre più veloce, fino a quando la padrona non gli disse di fermarsi. Poi fece appoggiare al ragazzo il pene su uno sgabello ai piedi del letto, lei si sedette sul letto e schiacciò con il piede destro il suo membro.
“Dai, scopati il mio piede, fammi vedere se sei un uomo! Ahahahahah”
Lo schiavo obbedì, ed iniziò a muovere aritmicamente il corpo, facendo sfregare il suo membro martoriato sulla pianta del piede, che schiacciava forte. Alla fine lo chiavo riuscì a venire, anche se con molta fatica e dolore, copiosamente. Un getto caldo inondò lo sgabello e il piede della padrona; dovette ripulire il tutto con la lingua, poi la padrona schiacciò la testa dello schiavo a terra, mentre con la lingua cercava di raccogliere ogni singola goccia dal parquet.
Sentiva che quella sera era stata l’epilogo della sua discesa, che da lì in poi non sarebbe mai più potuto salire. Ormai era il suo giocattolo, in tutto e per tutto.