Domiziana – parte V

piedi KarinaLa serata precedente si era tenuta la festa delle scuole, durante la quale Domiziana aveva conosciuto un ragazzo. Aveva ballato con lui per tutta la sera, poi si era appartata fuori, in intimità. Di quel momento di intimità, Domiziana aveva mantenuto un piccolo regalino da portare al suo schiavo, alla cena di Carolina dell’indomani.

Domiziana si alzò dal divano, e si diresse decisa verso il ragazzo, che aveva appena finito di nettare i piedi di Carolina. Gli sputò in faccia, allentandogli anche un ceffone.

“Fai schifo, leccapiedi di merda!”, e giù un altro schiaffone. “Ammazza che uomo!”, aggiunse, provocando l’ilarità delle altre. “Tu non sai nemmeno che significa essere un maschio, frocetto! Vero?” – “Si, padrona!”

“Carolina, per lo meno i piedi te li ha leccati bene?”

Carolina si afferrò la caviglia, guardando la pianta del piede: “Diciamo di si, dai! Almeno questo lo sa fare!”, disse, ridendo forsennatamente.

“Perché non ci fai vedere quell’affare inutile che hai fra le gambe?” disse lei. “Voi lo volete vedere?” chiese alle altre. Roberta: “Mah! Io non ci tengo proprio! Che poi siamo sicuri che ce lo abbia?”, disse.

Lui iniziò a provare paura: era già in mutande ed esposto allo scherno di tutte e tre le sue aguzzine. Ora avrebbe dovuto mostrare loro i genitali, non sapendo se oltre agli insulti avrebbe ricevuto anche calci sui testicoli.

“No, per favore. Pietà!”, provò a piagnucolare. Ma non vollero sentire ragioni, e dovette rimanere in ginocchio, nudo come un verme, dinnanzi agli sguardi deridenti e agli insulti di loro.

“Dove vorresti andare con quel coso?”, disse Roberta. “Non sarà nemmeno un decimo di quello di Simone”, aggiunse Domiziana. “Vediamo se lo sai usare almeno!”.

Venne posto di fronte a uno sgabello, in ginocchio, e gli ci venne fatto appoggiare il pene. Roberta glie lo schiacciò con la scarpa, provocando un urlo di dolore, prontamente soffocato da un ceffone. Carolina gli si mise dietro, per tenerlo fermo in caso si fosse dimenato per il dolore. Roberta continuò a schiacciare il membro dello schiavo, che divenne ben presto violaceo. “Mi vorresti scopare, non è così?” gli chiese Domiziana – “Rispondi!” – “Non ne sono degno padrona!”. La risposta non le piacque e lo colpì con un violento ceffone: “Non dire cazzate! Mi scoperesti, eh?”, urlò. “Si, padrona!”, dovette rispondere il ragazzo.

“Lo sapevo, porco schifoso che non sei altro. E secondo te io mi farei scopare da un essere lurido come te? Per di più con quel coso ridicolo che ti ritrovi fra le gambe? Guardalo!”, indicando il pene martoriato.

“Se stanno così le cose” – disse lei – ” scopati la scarpa di Roberta come scoperesti me. Avanti, fammi vedere!”.

Lui, rimasto attonito e ancora indolenzito, ebbe una smorfia di sofferenza. Cercò di far erigere il suo pene, schiacciato sotto la suola della scarpa di Roberta, e iniziò a sfregare tanto quanto gli era consentito dalle sue forze residue.

Il gesto meccanico gli costò non poca fatica, ma il suo pene stentò ad assumere durezza. Rimaneva morbido e floscio, e per di più la ragazza si divertiva talvolta a schiacciare più forte. Mentre il ragazzo eseguiva i movimenti, Domiziana e Roberta lo insultavano e lo riempivano di sputi, e Carolina iniziò a dargli dei morsi sulle spalle.

Ben presto gli venne l’affanno, e sentì una vampata di calore pervaderlo. In un ultimo, disperato sforzo, chiese il permesso di venire. Gli venne concesso, almeno quello, e un getto non troppo potente si riversò sullo sgabello e sulla suola della scarpa di Roberta.

“Che schifo!”, fu il commento di quest’ultima. Carolina invece lo fece alzare e gli diede una ginocchiata sui testicoli da dietro, facendolo piegare. “Guarda che casino che hai fatto, hai sporcato tutto lo sgabello. Adesso lo pulisci con la lingua!”

Piedi Arianna“Prima la scarpa” precisò Roberta; al che lo schiavo leccò il suo proprio sperma dalla suola, con colpi di lingua ampi e lenti. Ben presto la sua bocca si impastò di un sapore piccante, acre e disgustoso. Iniziò ad avere anche dei conati di vomito, repressi da un violento ceffone di Carolina. “Buono, vero? Questa è la tua cena! Ahahaha”.

“Inghiottilo!”, fu il perentorio ordine di Domi. Così fece, suo malgrado, e la smorfia di disgusto che ne seguì fece ridere tutte e tre le ragazze.

“Allora avevamo ragione, sul fatto che sei frocio!” disse Domiziana. “Proprio per questo motivo ieri sera ho pensato di portarti un regalo. Sai, mi sono divertita tanto con Simone.”

Che cosa aveva in serbo per lui? Cosa altro ancora avrebbe dovuto fare per compiacerla? Questi pensieri gli ronzavano in testa mentre lei era andata nell’altra stanza a prendere “il regalo”. Lo scoprì quando lei tornò, con sorrisino beffardo, tenendo in mano un barattolo chiuso. Dentro, un preservativo da cui fuoriusciva un filo di sperma giallastro.

“No, vi prego, questo no!” disse, spaventato quanto disgustato. Già ingerire il suo sperma era stato disgustoso: quel sapore pastoso e piccante gli riempiva ancora la bocca. L’idea di ingerire lo sperma di un altro, per di più del giorno prima, era ancora più vomitevole. Eppure era sottostato a tutte le umiliazioni e le vessazioni che gli erano state imposte, e non si sarebbe sottratto nemmeno stavolta.

“Noooo, dai! Ahahahah”, risero le altre due. Quando Domiziana svitò il coperchio del barattolo, uscì un odore nauseabondo di sperma stantio, tanto che la stessa si sventolò una mano davanti al naso, in un’espressione di disgusto.

“Senti che puzza, annusa! Forza!” disse, mettendogli il barattolo sotto al naso, e roteandolo per fargli vedere meglio il contenuto. “Dillo che era meglio la puzza dei miei calzini, eh?” lo sfottè Carolina.

Il ragazzo tossì e cercò di girarsi dall’altra parte, ma si beccò uno schiaffo da Domiziana, che lo afferrò per il mento e costrinse il suo sguardo verso il barattolo.

Fulminandolo con lo sguardo, gli ordinò, scandendo bene la parola: “L e c c a!”

A quel punto, Carolina lo afferrò per i capelli, reclinandogli il capo all’indietro. “Apri la bocca! Di più!” Mentre lui aveva la bocca spalancata, Domiziana ci fece percolare lo sperma, mentre le altre due guardavano incuriosite la scena.

Gli venne appoggiato il preservativo vuoto sotto al naso.

“Inghiotti!” disse Domiziana, chiudendogli la bocca con uno schiaffo sotto al mento. A fatica mandò giù tutto: il liquido era denso, freddo e dal sapore salato e amaro, molto più cattivo di quello ingerito in precedenza. Fu quasi per vomitare. “Ti piace la sborra, frocetto!” Iniziarono a canzonarlo, mentre lui era in ginocchio, nudo come un verme, con lo sguardo fisso al pavimento e il viso sporco dello sperma di un altro, ardente per la cocente umiliazione a cui era stato sottoposto.

“Mi sa tanto che ti dobbiamo trovare un ragazzo, frocio come te! Ihihihi”.

“Muoviti, vatti a lavare!”: a quest’ordine si alzò, credendo (e sperando) che la serata fosse finita. “Anzi, fermo!”, gli intimò Domiziana. “Vuoi sciacquarti la bocca? Anche se meriteresti di tenerti il sapore della borra di Simone fino a quando non torni a casa, tanto per ricordarti quanto sei sfigato.”

“Si padrona, vorrei sciacquarla se possibile.” rispose lui.

“Bene, Carolina è andata a pisciare, tra poco ti porta il colluttorio! “. Era ancora caduto nella diabolica trappola delle sue aguzzine. Poco dopo Carolina tornò con un bicchiere di plastica trasparente, contenete urina giallo scuro.

“Guarda che colore, sembra birra!” – “Che schifo! Daiiiii!” furono i commenti divertiti delle tre. “Sbrigati, bevila!”

“Padrona no, ti prego! Mi fa schifo!”

“Ti fa schifo? Ma come ti permetti? Hai bevuto la sborra di Simone, mi hai leccato i piedi sporchi e adesso il mio piscio ti fa schifo?” disse Carolina, scattando d’ira e ammollandogli uno schiaffone. “Domi, lo posso ammazzare di botte questo imbecille?” continuò, “Dai! Ahahaha”, rispose Domiziana.

Lo afferrò per i capelli e iniziò ad assestargli una serie di schiaffi sulla guancia destra: “De-fi-cie-nte!”, scandì, intervallando ogni sillaba con un ceffone. “BEVI!”, incalzò!

Riluttante e schifato, prese il bicchiere, e iniziò a bere a sorsi. Roberta, delicatina, non ce la fece ad assistere alla scena e si voltò a guardare la TV. Domiziana, con le braccia conserte, dominava dall’alto la scena, mentre Carolina, come di consueto, si assicurava che il ragazzo svolgesse il compito ordinatogli, pronta a intervenire qualora necessario.

Il sapore amarognolo dell’urina fece venire nuovamente i conati di vomito al ragazzo, ma rispetto a quello nauseabondo dello sperma assaporato poco prima gli sembrò quasi gradevole . Sorso dopo sorso, bevette tutto, sotto lo sguardo penetrante e umiliante delle due ragazze. All’epoca non esistevano i cellulari con le fotocamere, altrimenti sarebbe senza dubbio stato immortalato mentre si prestava alle umiliazioni impostegli. Ormai avrebbe fatto di tutto per la sua padrona, e, di riflesso, per le sue sadiche amiche: il suo orgoglio maschile era stato praticamente annientato durante il suo percorso di schiavitù.

Era ancora caduto nella diabolica trappola delle sue aguzzine. Poco dopo Carolina tornò con un bicchiere di plastica trasparente, contenete urina giallo scuro.

Domiziana – parte IV

Piedi

Le ragazze dopo l’ultima sera avevano preso gusto nel giocare a dominare il povero ragazzo, che, dal canto suo, nonostante l’imbarazzo e l’umiliazione che aveva provato non poteva fare a meno di degradarsi dinnanzi alle sue carnefici. Il fatto che ad imporgli tutto ciò era la sua Dea Domiziana rendeva il gioco ancora più eccitante.

Così chiesero a Domiziana di portare più spesso il suo cagnolino alle loro cene.

Non passò molto prima che ne organizzassero un’altra, questa volta a casa di Carolina. Questa volta erano in tre le ragazze, dato che Federica era fuori con il ragazzo Diego. Tutte e tre le commensali arrivarono un’ora prima della cena. Quando arrivò Domiziana con il suo schiavetto, questo venne fatto inginocchiare sullo zerbino e gli vennero fatte alzare le braccia tre volte in segno di adorazione delle padrone. Poi le tre si fecero baciare la mano. “In cucina!”, disse perentoria Carolina; il ragazzo si alzò di scatto, e si diresse rapido in cucina, beccandosi un calcio nel sedere dalla padrona di casa.

Appena entrato, il cuore gli iniziò a battere quando vide che tutte e tre le sue carnefici lo circondavano col sorriso beffardo. Gli venne fatto indossare il grembiule e la parrucca. “Bello!”, lo sbeffeggiò carolina, con dei buffetti sulla guangia; nel sentirle ridere, sentì il calore salirgli al viso, e la pressione sanguigna aumentare, provocandogli un’erezione. Domiziana se ne accorse, e col suo sguardo implacabile lo annientò, dandogli poi una ginocchiata sui testicoli che lo fece piegare: “Schifoso!”

Quando si riebbe, Carolina con uno schiocco di dita gli indicò il pavimento, facendolo inginocchiare. “Bacia il pavimento!”, gli disse. Contrariato, la guardò con aria supplichevole, come a chiedere se avesse dovuto farlo veramente. “Hai sentito quello che ho detto, o sei sordo?”, disse lei, quasi alterata: nello stesso tempo, Domiziana si avvicinò di scatto e gli diede un calcio nel sedere, mentre lui iniziò, seppur riluttante, a baciare le mattonelle. Carolina gli mise la scarpa sulla nuca, e lo schiacciò col naso per terra; poi, fece un gesto vittorioso con le braccia, che fece ridacchiare le due amiche. Lui continuava, col poco margine di manovra che il piede della dominatrice gli lasciava, a baciare il pavimento. Quando venne liberato, le tre decisero di fare un giochetto: avrebbero passeggiato per la stanza, e il loro cagnolino, a quattro zampe, avrebbe dovuto baciare il pavimento dove camminavano. A turno, ciascuna delle ragazze lo costringeva a seguirla goffamente a quattro zampe, spronandolo battendo le mani: “Forza! Più veloce cagnolino! Ihihihi!” Se non riusciva a stare al passo e a baciare dove camminavano, si beccava un ceffone o una zampata. Le altre due guardavano divertire, appoggiate al termosifone. La più spietata, sia con gli insulti che con le percosse, fu ovviamente Domiziana, col cinismo che la contraddistingueva e con la consapevolezza di avere il dominio assoluto sulla mente e sul corpo del suo schiavo. Roberta ci andava più leggera, ma si calava bene nella parte.

Quando questo gioco finì, le ginocchia del ragazzo erano doloranti, le guance infuocate e la testa gli ronzava per gli schiaffi ricevuti. Per farlo “riprendere”, Carolina gli porse i suoi piedi, che calzavano delle scarpe sportive bianche, e se li fece leccare. “Lecca bene, cagnolino! Uh, ma come sei bravo! Allora qualcosa sai fare! Ihihihi”

“Tieni, assaggia le mie!”, disse Roberta dai capelli rossi. Le scarpe di Roberta erano più sporche rispetto a quelle di Carolina. “Facci vedere la lingua!”, gli disse lei. Tirò fuori la lingua, tutta annerita e impolverata, che fece scoppiare grasse risate.

Piedi Paola

Quando si fece ora di cena, il ragazzo fu mandato a ritirare la pizza, che dovette pagare di tasca propria. Poi, al ritorno, dovette apparecchiare la tavola, mentre le sue padroncine stavano sul divano a guardare la TV. Non lo degnavano di considerazione, salvo chiedergli di tanto in tanto se avesse finito, che avevano fame. “Ma quanto cazzo ci metti? Ti muovi? Se non ti sbrighi ti facciamo vedere noi!” lo minacciavano, sghignazzando.

La cena si svolse sulla falsariga della precedente, senza niente di eccezionale. Il povero ragazzo, oltre a dover servire la cena, si dovette sorbire una buona dose di umiliazioni verbali, schiaffi, sputi e calci. Per farlo bere, le ragazze gli avevano riservato una bacinella piena di acqua, nella quale si erano divertite a sciacquare dei calzini ripescati dal cesto dei panni sporchi. Da mangiare, gli diedero dei pezzi di pizza che calpestarono accuratamente a turno: ovviamente dopo averli mangiati lo schiavetto dovette pulire il pavimento con la lingua. Appena finito di cenare, le tre ragazze decisero di guardarsi un DVD: si tolsero le scarpe, e si spaparazzarono sul divano. davanti al divano c’era un poggiapiedi, ma Domiziana ebbe la fantastica idea di usare il suo schiavo a tale scopo. Così vennef atto mettere a quatro zampe, e le tre vi appoggiarono i piedi. Passarono tre quarti d’ora, durante i quali, oltre allo sforzo titanico di mantenere quella scomoda posizione, lo schiavetto si beccò qualche pedata e insulti sulla sua scarsa virilità. Di tanto in tanto poi Carolina si divertiva a mettergli i piedi in faccia, ordinandogli di annusare: “Puzzano vero? Ahahaha”. Allora alle tre venne in mente un altro giochino: il ragazzo era stato bendato, quindi le ragazze gli facevano annusare i piedi a turno e lui, posizionato davanti al poggiapiedi, doveva indovinare di chi fossero. Domiziana indossava un paio di calzini rosa, mentre Roberta aveva dei gambaletti semistrasparenti. Carolina portava dei classici calzini bianchi, la cui suola era diventata nera a forza di camminare scalza per la casa durante la cena. Ogni volta che il ragazzo sbagliava, gli arrivava una serie di schiaffi dalla proprietaria del piede. Alla fine però gli odori dei diversi calzini gli si erano talmente impressi nel cervello che indovinava sempre a chi appartenessero. Come “premio” finale, Carolina se li tolse e glieli infilò in bocca. Quando gli fu tolta la benda, si trovò di fronte alla visione celestiale dei piedi nudi di Carolina: taglia 39, dita affusolate, di un candore fuori dal comune. L’odore vivo della pelle di quei piedi, assai più dolce di quello dei calzini, gli inebriò le narici, accendendogli dentro una forza vitale e una eccitazione che il duro lavoro di quella sera in parte aveva smorzato. Carolina se ne accorse, e si divertì ad avvicinarglieli alla faccia, sventolandoglieli a pochi centimetri dal naso. Avrebbe voluto leccarli, ma non gli fu permesso subito. “Ti piacerebbe leccarli, eh? Sono troppo puliti per quella fogna di bocca che ti ritrovi! Che dite voi? Lo accontentiamo?” – “Ma si, dai. Stasera è stato bravo!”, rispose Roberta. Domiziana rimase indifferente. Allora Carolina iniziò a passeggiare scalza per la casa, ordinando allo schiavo di seguirla a quattro zampe. Ogni tanto si fermava e si faceva baciare il piede: passò in bagno, nelle camere da letto, in cucina e infine ritornò in salotto. Si guardò un piede e disse: “Bene, adesso si! Vieni schiavetto!” Le piante dei piedi erano ora impolverate: “Lecca!”, disse Carolina. Lui obbedì, iniziando a leccare delicatamente la pianta del piede destro, dal tallone fino alle dita. Succhiò le dita uno ad uno, mentre la ragazza le muoveva ogni tanto. Passò all’altro piede, ripetendo il servizio. Le altre due ragazze alternavano espressioni di disgusto a sorrisini di derisione, ma in fondo quella situazione le intrigava. Leccò fino a quando le piante non tornarono abbastanza pulite. “Bravo piccino!”, disse, sfottendolo. Ma la serata non era ancora finita.

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