Dalla Russia con perfidia – parte IV

Il momento tanto temuto da Taty arrivò una sera in cui la piccola Natasha non era in casa, e che Mirco e Alena avevano voglia di giocare. In teoria, Tala doveva preparare e servire la cena ai due padroni di casa, ma nella pratica la maggior parte del lavoro dovette essere svolta da Taty, sotto la supervisione della filippina, che si divertiva a insultarlo e a deriderlo.

russian_mistress_08Nei tempi morti, Emanuele veniva fatto accucciare e costretto a leccare le scarpe di tutti e tre a rotazione; per divertimento, allo schiavo venivano inferti shock elettrici ai testicoli. Taty venne ad un certo punto fatta alzare in piedi e costretta a ballare goffamente, a ritmo di shock elettrici, sollevando le risate dei due commensali e della serva filippina. Man mano che i due padroni bevevano e si scioglievano, l’atmosfera si faceva sempre più calda, ed il povero Emanuele era sempre più preoccupato di cosa dovesse aspettarsi dalla matrigna.

Come se gli shock elettrici non fossero bastati,  ogni tanto Alena faceva assestare allo schiavetto un calcio o una ginocchiata sui testicoli da Tala. Verso la fine della cena, i tre si divertirono a tirare calci a turno, da dietro, alla sissy, che era stata fatta mettere a gambe divaricate. Ogni volta che si accovacciava per il dolore, gli veniva ordinato di rimettersi in posizione per il prossimo calcio. Questo supplizio durò per una ventina di minuti, fino a quando i tre non si stancarono.

La sua affettuosa matrigna, per farlo dissetare e recuperare un po’ le forze, versò del vino bianco sul pavimento, e glie lo fece leccare, incitandolo di tanto in tanto con qualche shock elettrico ai testicoli. Mentre Taty era immersa in questo compito, non proprio semplice, Alena iniziò a stimolare il pene del compagno con il piede. Lui invece cominciò a palparle il seno, per poi iniziare a limonare, incuranti dello schiavo che leccava il pavimento. Quando Mirco raggiunse il livello di eccitazione che ad Alena serviva, questa richiamò il figliastro con uno schiocco di dita, facendolo mettere in ginocchio di fronte al tavolo.

Poi fece abbassare i pantaloni di Mirco, dai quali spuntò fuori il suo grosso pene in erezione. Per la prima volta in vita sua, Emanuele si trovò faccia a faccia con un cazzo diritto: ne sentiva l’odore e ne vedeva le vene. Istintivamente, tese ad allontanare la testa all’indietro, ma uno schiaffo sulla nuca da parte della matrigna lo riavvicinò: non aveva molte chance, e il terrore di ricevere da un momento all’altro shock ai testicoli non gli lasciava scelta. Gli si accucciò accanto anche la filippina Tala, ridacchiando e stropicciandosi le mani: lo avrebbe dovuto “guidare” e correggere in caso di errori. Fu proprio lei a dirigere le danze, mentre Alena si limitava ad osservare, con il suo sguardo glaciale, dall’alto la scena, pronta col telecomandino in mano a imprimere gli shock.

Gli venne ordinato di baciare la cappella, poi di iniziare a succhiarla piano piano, coadiuvato dalla mano di Tala dietro la nuca. Spalancando la bocca sempre di più, e ingoiando sempre più in profondità, Taty cercava di fare del suo meglio per vincere la repulsione e il senso di oppressione che quel cazzo le provocava nella cavità orale. Ogni tanto doveva prendere aria per non strozzarsi.  Sentiva il sapore salato del liquido pre-seminale che iniziava a invischiarsi nel palato. La mano di Tala premeva sempre più forsennatamente, mentre Alena, con sguardo divertito e malizioso, lanciava qualche shock al povero figliastro, che faceva sforzi titanici per compiacerla.

Il compagno di lei, sempre più eccitato, aveva iniziato a muovere il bacino e a penetrare la bocca della sissy. Quando fu sul punto di venire, la perfida matrigna lo fece interrompere: voleva rendere il gioco ancora più divertente. Suo malgrado, Mirco estrasse il pene turgido dalla bocca dello schiavo, mentre quest’ultimo, affannato, riprese aria: il sollievo durò poco, dato che gli arrivò una scarica elettrica all’improvviso e un ceffone di Tala, tanto per diletto.russian_mistress_03

Si spostarono in soggiorno, e la sissy dovette seguirli a quattro zampe, mentre Tala la tirava per l’orecchio e le dava calci sulle chiappe.  Venne fatta mettere a novanta gradi, con la pancia su una sedia, e le mani legate alla gamba di questa. La filippina si mise lo strap-on, mentre Mirco si mise davanti alla faccia dello schiavo, impaziente di infilargli nuovamente il suo membro in bocca. Tala iniziò a penetrarlo da dietro, Mirco da davanti. La povera Taty faticava il doppio di prima, e per giunta perdeva la sua verginità anale: a fargli superare tutti quei tormenti era l’idea di compiacere la sua bella matrigna, che, a braccia conserte e col sorrisino appena accennato e con lo sguardo di ghiaccio, osservava divertita quel gioco.

La veemenza di Mirco aumentò sempre di più, in concomitanza con un intensificarsi degli shock elettrici da parte della compagna. Quando stette per venire, come concordato con Alena prima che tutto cominciasse, l’uomo estrasse il pene, e schizzò copiosamente sulla faccia del ragazzo: lo sperma era giallo, denso e maleodorante.  Seguirono grasse risate, shock in sequenza e schiaffi sulle schiappe. Mirco gli sbattè il pene in faccia, strusciandolo per pulire bene la punta, mentre Tala gli infilò nella bocca lo strap-on che aveva violato il suo orifizio anale.

L’umiliazione non era finita qui. Alena, infatti, lo insultò più volte in russo, dandogli della femminuccia e della troia, e decise di lasciarlo legato alla sedia, in quella posizione, con il volto coperto di sperma maleodorante. Gli sputò in faccia, e altrettanto fece Tala, ridacchiando come una stupidina.

Dopo di che, la filippina se ne andò a dormire, mentre la coppia si appartò in camera da letto per fornicare. Dopo quasi un’ora, la cagnetta venne slegata e le fu permesso di lavarsi e di coricarsi: come premio per essere stata brava, la matrigna la ricompensò con delle carezze sulla testa e con buffetti sulla guancia, e le fece baciare i suoi piedi. Amava quella vita, amava la sua matrigna e tutto ciò che faceva per umiliarlo e degradarlo sempre di più: questa era la sua strada, ormai.

Dalla Russia con perfidia – parte II

Alena frequentava il suo attuale compagno, Mirco, già da mesi: era un suo collega, che lei aveva abilmente sedotto per ottenere delle promozioni.
Emanuele lo aveva visto solo in rare occasioni fino ad allora; più che altro ne aveva sentito parlare dai racconti che la matrigna gli faceva, riguardo ai suoi incontri, mentre lui, nel chiuso della sua gabbia di castità, le massaggiava i piedi al ritorno dal lavoro.
Adorava enumerare tutti i dettagli dei suoi incontri con Mirco, per dimostrare al figliastro come si doveva comportare un vero uomo, quello che lui (o meglio, lei, Taty) non sarebbe mai stato. A partire dalle dimensioni del pene, fino alla prestanza fisica e ai muscoli ben scolpiti.
Poi un giorno Mirco era entrato a far parte di quella casa, fungendo anhe da padre affettuoso per la piccola Natasha. Ovviamente, la compagna Alena le aveva parlato di quel figliastro sfigato, che ormai era ridotto al rango di schiavetto domestico, mettendo in chiaro che lo faceva per libera scelta, dato che godeva della sua condizione e che proferiva una fede e una devozione illimitata verso di lei e di sua figlia.
Ma quando si era ritrovato quella sissy ridicola che gironzolava per la casa con una parrucca, coi tacchi e con il pene costretto nella gabbia di castità, Mirco era rimasto incredulo e stupito, e ci aveva messo un paio di mesi anche solo per capire la situazione.

Mistress Russa
Tuttavia la bella e diabolica Alena, con le sue sottili arti femminili, fece un ottimo lavoro nel persuadere e manipolare la mente del compagno, fino a fargli non solo accettare quella situazione grottesca e paradossale, ma anche a rendergliela gradevole e divertente, tutto sommato.
Mirco non aveva delle particolari inclinazioni alla dominazione: agli inizi, guardava con interesse come Alena umiliasse il ragazzo e si facesse da questo servire. Si prestava anche quando la sua compagna ordinava al ragazzo di baciare, oltre che i suoi piedi, anche le scarpe del compagno quando entravano a casa.
Poi avevano iniziato ad umiliare Taty verbalmente, insieme. Per punire la “servetta” delle sue mancanze, o semplicemente per puro e sadico divertimento, Alena aveva iniziato a darle calci sui testicoli, e chiedeva a Mirco di fare altrettanto: Taty veniva fatta mettere a gambe divaricate, e da dietro, a gamba tesa, Alena sferrava i calci, a più riprese.
Nel fare ciò, la russa aveva una precisione chirurgica, sapendo dove colpire e con quanta forza. Invece il compagno era un pò più goffo e a volte troppo energico, tanto che Taty rimaneva accucciata a terra diversi minuti, prima di potersi rialzare per il calcio successivo.
Come se tutto ciò non bastasse, per ricordare ad Emanuele il suo essere inferiore Alena gli faceva annusare i piedi e i calzini del compagno quando tornava da lavoro o dal tennis, mentre lei lo insultava e gli sputava in faccia (sapendo che ciò lo eccitava e lo rendeva ancora più succube).
I due spesso si facevano massaggiare i piedi da Taty, mentre la filippina Tala (che, ricordiamo, non era una schiava) massaggiava loro le spalle e la schiena.
La Dea aveva iniziato ad essere gelosa verso Tala, avendo notato che Mirco la guardava con occhio malizioso. Tanto che la fulminava con lo sguardo ogni volta che questa ronzava intorno a Mirco.
Una volta, mentre Alena era fuori al saggio di danza della figlia, Mirco, tornato dal lavoro, era rimasto solo con Tala e Taty. Taty stava pulendo il pavimento, mentre Tala lavava i piatti; Mirco le si era avvicinato da dietro, mentre questa gli lanciava delle occhiate ammiccanti.
Aveva iniziato a palparle il sedere, e lei si era sciolta, iniziando a strusciarsi contro di lui. Poi i due avevano iniziato a baciarsi passionatamente. La filippina sembrava godere come una cagna mentre lui le strusciava la mano sulla patata.

russian_mistress_08Nel mentre, la sissy Taty era stata costretta a interrompere il lavoro e a guardare l’evolversi della scena, per ricordarle quello che non avrebbe mai potuto fare a una donna.
Poi Tala si era messa in ginocchio sul pavimento, Mirco si era aperto la zip dei jeans e aveva tirato fuori il suo membro, duro come un pezzo di marmo.
La filippina lo aveva preso avidamente in bocca, succhiando come una vera professionista e muovendo il collo come un piccione; MIrco la aveva afferrata poi per i capelli, penetrando veementemente la sua bocca, stantuffando come un toro.
Il tutto durò per dieci minuti buoni, fino a quando Mirco non venne in abbondanza nella bocca della serva, che, da brava, ingoio fino all’ultima goccia. Emanuele era rimasto a guardare la scena, con quella rassegnazione che Alena aveva scolpito e consolidato nella sua mente, nel corso degli anni.
Oltre alla frustrazione e all’umiliazione, però, il ragazzo provò una strana paura per quello che, forse, avrebbe potuto succedere un giorno anche a lui, se la sua padrona lo avesse voluto. L’idea di avere anche solo il contatto con i genitali di un altro uomo lo disgustava.
Ma Alena aveva lui ribadito a più riprese che lo avrebbe fatto diventare una vera e propria zoccoletta, essendo la sua virilità praticamente annientata. Intanto, lui pregava che quel giorno non sarebbe arrivato poi così tanto presto.

Domiziana – parte IV

Piedi

Le ragazze dopo l’ultima sera avevano preso gusto nel giocare a dominare il povero ragazzo, che, dal canto suo, nonostante l’imbarazzo e l’umiliazione che aveva provato non poteva fare a meno di degradarsi dinnanzi alle sue carnefici. Il fatto che ad imporgli tutto ciò era la sua Dea Domiziana rendeva il gioco ancora più eccitante.

Così chiesero a Domiziana di portare più spesso il suo cagnolino alle loro cene.

Non passò molto prima che ne organizzassero un’altra, questa volta a casa di Carolina. Questa volta erano in tre le ragazze, dato che Federica era fuori con il ragazzo Diego. Tutte e tre le commensali arrivarono un’ora prima della cena. Quando arrivò Domiziana con il suo schiavetto, questo venne fatto inginocchiare sullo zerbino e gli vennero fatte alzare le braccia tre volte in segno di adorazione delle padrone. Poi le tre si fecero baciare la mano. “In cucina!”, disse perentoria Carolina; il ragazzo si alzò di scatto, e si diresse rapido in cucina, beccandosi un calcio nel sedere dalla padrona di casa.

Appena entrato, il cuore gli iniziò a battere quando vide che tutte e tre le sue carnefici lo circondavano col sorriso beffardo. Gli venne fatto indossare il grembiule e la parrucca. “Bello!”, lo sbeffeggiò carolina, con dei buffetti sulla guangia; nel sentirle ridere, sentì il calore salirgli al viso, e la pressione sanguigna aumentare, provocandogli un’erezione. Domiziana se ne accorse, e col suo sguardo implacabile lo annientò, dandogli poi una ginocchiata sui testicoli che lo fece piegare: “Schifoso!”

Quando si riebbe, Carolina con uno schiocco di dita gli indicò il pavimento, facendolo inginocchiare. “Bacia il pavimento!”, gli disse. Contrariato, la guardò con aria supplichevole, come a chiedere se avesse dovuto farlo veramente. “Hai sentito quello che ho detto, o sei sordo?”, disse lei, quasi alterata: nello stesso tempo, Domiziana si avvicinò di scatto e gli diede un calcio nel sedere, mentre lui iniziò, seppur riluttante, a baciare le mattonelle. Carolina gli mise la scarpa sulla nuca, e lo schiacciò col naso per terra; poi, fece un gesto vittorioso con le braccia, che fece ridacchiare le due amiche. Lui continuava, col poco margine di manovra che il piede della dominatrice gli lasciava, a baciare il pavimento. Quando venne liberato, le tre decisero di fare un giochetto: avrebbero passeggiato per la stanza, e il loro cagnolino, a quattro zampe, avrebbe dovuto baciare il pavimento dove camminavano. A turno, ciascuna delle ragazze lo costringeva a seguirla goffamente a quattro zampe, spronandolo battendo le mani: “Forza! Più veloce cagnolino! Ihihihi!” Se non riusciva a stare al passo e a baciare dove camminavano, si beccava un ceffone o una zampata. Le altre due guardavano divertire, appoggiate al termosifone. La più spietata, sia con gli insulti che con le percosse, fu ovviamente Domiziana, col cinismo che la contraddistingueva e con la consapevolezza di avere il dominio assoluto sulla mente e sul corpo del suo schiavo. Roberta ci andava più leggera, ma si calava bene nella parte.

Quando questo gioco finì, le ginocchia del ragazzo erano doloranti, le guance infuocate e la testa gli ronzava per gli schiaffi ricevuti. Per farlo “riprendere”, Carolina gli porse i suoi piedi, che calzavano delle scarpe sportive bianche, e se li fece leccare. “Lecca bene, cagnolino! Uh, ma come sei bravo! Allora qualcosa sai fare! Ihihihi”

“Tieni, assaggia le mie!”, disse Roberta dai capelli rossi. Le scarpe di Roberta erano più sporche rispetto a quelle di Carolina. “Facci vedere la lingua!”, gli disse lei. Tirò fuori la lingua, tutta annerita e impolverata, che fece scoppiare grasse risate.

Piedi Paola

Quando si fece ora di cena, il ragazzo fu mandato a ritirare la pizza, che dovette pagare di tasca propria. Poi, al ritorno, dovette apparecchiare la tavola, mentre le sue padroncine stavano sul divano a guardare la TV. Non lo degnavano di considerazione, salvo chiedergli di tanto in tanto se avesse finito, che avevano fame. “Ma quanto cazzo ci metti? Ti muovi? Se non ti sbrighi ti facciamo vedere noi!” lo minacciavano, sghignazzando.

La cena si svolse sulla falsariga della precedente, senza niente di eccezionale. Il povero ragazzo, oltre a dover servire la cena, si dovette sorbire una buona dose di umiliazioni verbali, schiaffi, sputi e calci. Per farlo bere, le ragazze gli avevano riservato una bacinella piena di acqua, nella quale si erano divertite a sciacquare dei calzini ripescati dal cesto dei panni sporchi. Da mangiare, gli diedero dei pezzi di pizza che calpestarono accuratamente a turno: ovviamente dopo averli mangiati lo schiavetto dovette pulire il pavimento con la lingua. Appena finito di cenare, le tre ragazze decisero di guardarsi un DVD: si tolsero le scarpe, e si spaparazzarono sul divano. davanti al divano c’era un poggiapiedi, ma Domiziana ebbe la fantastica idea di usare il suo schiavo a tale scopo. Così vennef atto mettere a quatro zampe, e le tre vi appoggiarono i piedi. Passarono tre quarti d’ora, durante i quali, oltre allo sforzo titanico di mantenere quella scomoda posizione, lo schiavetto si beccò qualche pedata e insulti sulla sua scarsa virilità. Di tanto in tanto poi Carolina si divertiva a mettergli i piedi in faccia, ordinandogli di annusare: “Puzzano vero? Ahahaha”. Allora alle tre venne in mente un altro giochino: il ragazzo era stato bendato, quindi le ragazze gli facevano annusare i piedi a turno e lui, posizionato davanti al poggiapiedi, doveva indovinare di chi fossero. Domiziana indossava un paio di calzini rosa, mentre Roberta aveva dei gambaletti semistrasparenti. Carolina portava dei classici calzini bianchi, la cui suola era diventata nera a forza di camminare scalza per la casa durante la cena. Ogni volta che il ragazzo sbagliava, gli arrivava una serie di schiaffi dalla proprietaria del piede. Alla fine però gli odori dei diversi calzini gli si erano talmente impressi nel cervello che indovinava sempre a chi appartenessero. Come “premio” finale, Carolina se li tolse e glieli infilò in bocca. Quando gli fu tolta la benda, si trovò di fronte alla visione celestiale dei piedi nudi di Carolina: taglia 39, dita affusolate, di un candore fuori dal comune. L’odore vivo della pelle di quei piedi, assai più dolce di quello dei calzini, gli inebriò le narici, accendendogli dentro una forza vitale e una eccitazione che il duro lavoro di quella sera in parte aveva smorzato. Carolina se ne accorse, e si divertì ad avvicinarglieli alla faccia, sventolandoglieli a pochi centimetri dal naso. Avrebbe voluto leccarli, ma non gli fu permesso subito. “Ti piacerebbe leccarli, eh? Sono troppo puliti per quella fogna di bocca che ti ritrovi! Che dite voi? Lo accontentiamo?” – “Ma si, dai. Stasera è stato bravo!”, rispose Roberta. Domiziana rimase indifferente. Allora Carolina iniziò a passeggiare scalza per la casa, ordinando allo schiavo di seguirla a quattro zampe. Ogni tanto si fermava e si faceva baciare il piede: passò in bagno, nelle camere da letto, in cucina e infine ritornò in salotto. Si guardò un piede e disse: “Bene, adesso si! Vieni schiavetto!” Le piante dei piedi erano ora impolverate: “Lecca!”, disse Carolina. Lui obbedì, iniziando a leccare delicatamente la pianta del piede destro, dal tallone fino alle dita. Succhiò le dita uno ad uno, mentre la ragazza le muoveva ogni tanto. Passò all’altro piede, ripetendo il servizio. Le altre due ragazze alternavano espressioni di disgusto a sorrisini di derisione, ma in fondo quella situazione le intrigava. Leccò fino a quando le piante non tornarono abbastanza pulite. “Bravo piccino!”, disse, sfottendolo. Ma la serata non era ancora finita.

Aliai

Il fumo dell’incenso saliva verso il soffitto, mescolandosi al vapore dell’acqua. Aliai si abbandonava a quella sensazione di calore, di leggerezza, a quel profumo inebriante. Guardava il suo corpo, quelle gambe lucide di ragazza appena diciottenne, i piedini che delicatamente emergevano da un manto di schiuma.

L’ambiente era appena rischiarato dalle candele. Fra le coccole che l’acqua donava alla sua schiena, e il senso di libertà e languore, Aliai batté le mani. Nella semioscurità, accorse Federico, nudo, a quattro zampe, porgendole un bicchiere di aranciata: lo bevve, e schiaffeggiò il ragazzo.

Lo stava fissando: un sorriso misto di diletto e cinismo, di onnipotenza e beffa, si accennava su quelle labbra delicate, contornate da lineamenti dolci, da un viso armonioso e tenero nel complesso, nonostante la dentatura appena fuoriuscente. Le uscì una risatina sguaiata.

Poi, col dito, fece cenno al ragazzo di alzarsi: si rivelò un corpo atletico, magro, tremolante dal freddo, col pene turgido, che emergeva da una selva di peluria. La mano della ragazza, dalle dita affusolate e dalle unghie tinte di rosa, afferrò lo scroto, stringendo forte. Federico si inginocchiò, fra spasmi e fitte di dolore, divincolandosi ed emettendo un gemito di supplica.

Aliai rideva, sempre più divertita: godeva, nel vedere quel ragazzo alla sua completa mercè e disposizione, nel realizzare che quel corpo, che era stato il sogno della sua adolescenza, era ora alla stregua di un giocattolo. Quando lo liberò dalla morsa, lo schiaffeggiò, sempre più eccitata.

“Leccami i piedi!” disse, perentoria.

Federico timidamente si approssimò al bordo della vasca. Iniziò a leccare quella bellezza della natura, partendo dal bordo del tallone, scivolando verso il mignolo, per poi proseguire con dei colpetti di lingua sotto le dita: quel delicato solletico faceva impazzire la ragazza, che rilassò di colpo i polpacci e le caviglie.

Federico suggeva con una soavità quasi femminile le dita una ad una, percorrendo ogni singolo centimetro di quella liscia pelle, di quelle unghie calde e levigate. Improvvisamente, la ragazza sollevò il piede, per poi sferrare un calcio al viso del ragazzo. Indietreggiò violentemente, sentendo una vampata infuocata percorrergli il volto, un vertigine disorientarlo: gli uscì il sangue dal naso.

Lei rideva di pancia, le mancava quasi il fiato: “Ahahahahah, forza! Che fai? Continua, stupido! Ahahahah”.

Continuò, con la testa che gli ronzava. Gli arrivarono altri due o tre calci, più lievi. Mentre leccava un piede, veniva colpito ininterrottamente con l’altro, e cercava di incassare i colpi senza cedere. Poi la ragazza gli imprigionò la testa con un piede dietro la nuca, e con l’altro iniziò a penetrare la sua bocca: il ragazzo iniziò ad emettere un mugolio affannato allo stesso ritmo del piede, che scompariva e riemergeva rapidamente dalla sua bocca.

Ora era prostrato sul tappetino, aspettando che la sua Venere emergesse dalle acque. Aliai sentì un brivido percorrerle la schiena: il suo corpo era percorso da ondate di vapore e di incenso caldo. Appoggiò i suoi piedi bagnati sulla schiena del ragazzo, fredda e contratta. Se li asciugò sui suoi capelli, poi gli diede uno schiaffo con il piede destro.

Federico iniziò ad asciugarla: sentiva le sue sinuosità scorrere sotto le sue mani, poteva ammirare quel corpo sodo, palpitante di libidine. I capelli, poi le spalle, i piccoli seni inturgiditi, le natiche, le cosce, fino ai piedi, che baciò delicatamente. Il suo pene era un fiume in piena, prossimo allo straripamento.

Aliai si abbandonò al calore delicato dell’asciugamano, che percorreva il suo corpo. Iniziò ad eccitarsi. Quella pace venne turbata dalla voglia di possedere il suo schiavo. Guardò il suo pene in erezione, lo schiaffeggiò violentemente. Poi gli diede una rapida e decisa ginocchiata sui testicoli. Lo vide accasciarsi ai suoi piedi, affannarsi. Iniziò a ridere, come posseduta da una forza irrefrenabile: quella della sua vanità e della sua arroganza. Come segno di vittoria, poggiò il piede sulla testa del ragazzo, schiacciandola.

Federico si sentiva ardere dentro: in preda al dolore, non riusciva a respirare. Scottava la sconfitta, la sopraffazione da parte di quella ragazza che aveva sempre guardato dall’alto in basso. Ma il suo orgoglio maschile nulla poteva contro l’eccitazione che da quella condizione gli derivava: sentirsi sotto il completo potere di una femmina.

“Che deficiente che sei! Idiota! Ihihihihihi! Che volevi fare con quel cosino, eh? Adesso ho capito perché Alysia ti abbia mollato! Ahahahahahah! Sei buono soltanto a leccare i piedi!”

Lo condusse ai piani inferiori: qui, una stanza, arredata in stile etnico. E una frusta per cavalli. Intorno, nessuno, loro due soltanto. Alla vista di quell’arnese, il ragazzo fu colto da terrore e scosso da tremiti: avrebbe voluto piangere, gettarsi ai piedi della sua carnefice e supplicarla. La ragazza colse nel suo sguardo il suo imploro, rispondendo con un sorrisino beffardo e carezzandolo in maniera provocatoria.

Era legato, sospeso. Le sferzate lo colpivano sulla schiena, sulla nuca, sulle chiappe. Ad ogni colpo, un grido di dolore intenso, uno spasmo, un segno sanguigno. Grida sempre più forti, disperate. Singhiozzi, pianti, suppliche spezzate da frustate violente. Aliai era sempre più concitata, la foga alimentata da ogni singolo tremito, ogni urlo, ogni contrazione. Sembrava una pizia invasata. Ogni goccia di sangue che rigava la schiena martoriata della sua vittima. Rideva sadicamente, frustava con sempre più veemenza.

Le gambe del povero ragazzo avevano ceduto, singhiozzava come un bambino. Aliai si stancò, gettando a terra la frusta: il suo rumore fece soprassalire Federico, atterrito. Si avvicinò, appoggiò sensualmente le sue mani sulle spalle, ed iniziò a graffiarlo, provocando un urlo disperato. Lo accarezzò sulla testa. Si appoggiò, esausta, a lui. Mordicchiandogli l’orecchio, gli sussurrò:

“Povero tesoro ihihihihi. Ormai sei mio! Non potrai pensare ad altre ragazze. Esisterò soltanto io nella tua vita, nelle tue fantasie. Scordati tutte quelle che te l’hanno data. Scordati Francesca, Alysia, Daniela! Questa sera mi scopo Alessandro, mmmm non trovi che sia proprio un gran picchio? Mmmmm…”

Lo stava percorrendo, con le sue mani soffici, facendolo decontrarre pian piano. La rabbia che le parole di lei suscitavano si trasformava in una eccitazione dirompente. Quella voce calda riecheggiava nella sua testa confusa, solleticava la sua libido. Sentiva i capelli di lei carezzargli il collo, le spalle, fino ai pettorali.

“….mmmmm! Mi raccomando, stasera, mentre sistemi la mia camera, pensa alla tua padrona che gode come una troia, mentre si scopa Alessandro. Ahahahaha…. Mmmm…”

Si stava masturbando. Poi fece succhiare il dito a Federico, allo strenuo delle forze. Lo liberò. E lui si accasciò a terra. Lo salutò con un calcio. “Ciao ciao tesoro ihihihihihi!”.

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