Dalla Russia con perfidia – parte IV

Il momento tanto temuto da Taty arrivò una sera in cui la piccola Natasha non era in casa, e che Mirco e Alena avevano voglia di giocare. In teoria, Tala doveva preparare e servire la cena ai due padroni di casa, ma nella pratica la maggior parte del lavoro dovette essere svolta da Taty, sotto la supervisione della filippina, che si divertiva a insultarlo e a deriderlo.

russian_mistress_08Nei tempi morti, Emanuele veniva fatto accucciare e costretto a leccare le scarpe di tutti e tre a rotazione; per divertimento, allo schiavo venivano inferti shock elettrici ai testicoli. Taty venne ad un certo punto fatta alzare in piedi e costretta a ballare goffamente, a ritmo di shock elettrici, sollevando le risate dei due commensali e della serva filippina. Man mano che i due padroni bevevano e si scioglievano, l’atmosfera si faceva sempre più calda, ed il povero Emanuele era sempre più preoccupato di cosa dovesse aspettarsi dalla matrigna.

Come se gli shock elettrici non fossero bastati,  ogni tanto Alena faceva assestare allo schiavetto un calcio o una ginocchiata sui testicoli da Tala. Verso la fine della cena, i tre si divertirono a tirare calci a turno, da dietro, alla sissy, che era stata fatta mettere a gambe divaricate. Ogni volta che si accovacciava per il dolore, gli veniva ordinato di rimettersi in posizione per il prossimo calcio. Questo supplizio durò per una ventina di minuti, fino a quando i tre non si stancarono.

La sua affettuosa matrigna, per farlo dissetare e recuperare un po’ le forze, versò del vino bianco sul pavimento, e glie lo fece leccare, incitandolo di tanto in tanto con qualche shock elettrico ai testicoli. Mentre Taty era immersa in questo compito, non proprio semplice, Alena iniziò a stimolare il pene del compagno con il piede. Lui invece cominciò a palparle il seno, per poi iniziare a limonare, incuranti dello schiavo che leccava il pavimento. Quando Mirco raggiunse il livello di eccitazione che ad Alena serviva, questa richiamò il figliastro con uno schiocco di dita, facendolo mettere in ginocchio di fronte al tavolo.

Poi fece abbassare i pantaloni di Mirco, dai quali spuntò fuori il suo grosso pene in erezione. Per la prima volta in vita sua, Emanuele si trovò faccia a faccia con un cazzo diritto: ne sentiva l’odore e ne vedeva le vene. Istintivamente, tese ad allontanare la testa all’indietro, ma uno schiaffo sulla nuca da parte della matrigna lo riavvicinò: non aveva molte chance, e il terrore di ricevere da un momento all’altro shock ai testicoli non gli lasciava scelta. Gli si accucciò accanto anche la filippina Tala, ridacchiando e stropicciandosi le mani: lo avrebbe dovuto “guidare” e correggere in caso di errori. Fu proprio lei a dirigere le danze, mentre Alena si limitava ad osservare, con il suo sguardo glaciale, dall’alto la scena, pronta col telecomandino in mano a imprimere gli shock.

Gli venne ordinato di baciare la cappella, poi di iniziare a succhiarla piano piano, coadiuvato dalla mano di Tala dietro la nuca. Spalancando la bocca sempre di più, e ingoiando sempre più in profondità, Taty cercava di fare del suo meglio per vincere la repulsione e il senso di oppressione che quel cazzo le provocava nella cavità orale. Ogni tanto doveva prendere aria per non strozzarsi.  Sentiva il sapore salato del liquido pre-seminale che iniziava a invischiarsi nel palato. La mano di Tala premeva sempre più forsennatamente, mentre Alena, con sguardo divertito e malizioso, lanciava qualche shock al povero figliastro, che faceva sforzi titanici per compiacerla.

Il compagno di lei, sempre più eccitato, aveva iniziato a muovere il bacino e a penetrare la bocca della sissy. Quando fu sul punto di venire, la perfida matrigna lo fece interrompere: voleva rendere il gioco ancora più divertente. Suo malgrado, Mirco estrasse il pene turgido dalla bocca dello schiavo, mentre quest’ultimo, affannato, riprese aria: il sollievo durò poco, dato che gli arrivò una scarica elettrica all’improvviso e un ceffone di Tala, tanto per diletto.russian_mistress_03

Si spostarono in soggiorno, e la sissy dovette seguirli a quattro zampe, mentre Tala la tirava per l’orecchio e le dava calci sulle chiappe.  Venne fatta mettere a novanta gradi, con la pancia su una sedia, e le mani legate alla gamba di questa. La filippina si mise lo strap-on, mentre Mirco si mise davanti alla faccia dello schiavo, impaziente di infilargli nuovamente il suo membro in bocca. Tala iniziò a penetrarlo da dietro, Mirco da davanti. La povera Taty faticava il doppio di prima, e per giunta perdeva la sua verginità anale: a fargli superare tutti quei tormenti era l’idea di compiacere la sua bella matrigna, che, a braccia conserte e col sorrisino appena accennato e con lo sguardo di ghiaccio, osservava divertita quel gioco.

La veemenza di Mirco aumentò sempre di più, in concomitanza con un intensificarsi degli shock elettrici da parte della compagna. Quando stette per venire, come concordato con Alena prima che tutto cominciasse, l’uomo estrasse il pene, e schizzò copiosamente sulla faccia del ragazzo: lo sperma era giallo, denso e maleodorante.  Seguirono grasse risate, shock in sequenza e schiaffi sulle schiappe. Mirco gli sbattè il pene in faccia, strusciandolo per pulire bene la punta, mentre Tala gli infilò nella bocca lo strap-on che aveva violato il suo orifizio anale.

L’umiliazione non era finita qui. Alena, infatti, lo insultò più volte in russo, dandogli della femminuccia e della troia, e decise di lasciarlo legato alla sedia, in quella posizione, con il volto coperto di sperma maleodorante. Gli sputò in faccia, e altrettanto fece Tala, ridacchiando come una stupidina.

Dopo di che, la filippina se ne andò a dormire, mentre la coppia si appartò in camera da letto per fornicare. Dopo quasi un’ora, la cagnetta venne slegata e le fu permesso di lavarsi e di coricarsi: come premio per essere stata brava, la matrigna la ricompensò con delle carezze sulla testa e con buffetti sulla guancia, e le fece baciare i suoi piedi. Amava quella vita, amava la sua matrigna e tutto ciò che faceva per umiliarlo e degradarlo sempre di più: questa era la sua strada, ormai.

Dalla Russia con perfidia

Piedi KarinaLa sua matrigna russa, Alena, lo aveva lasciato, vestito da sissy maid, a pulire la cucina.
Da quando aveva perso entrambi i genitori naturali, Emanuele era andato incontro ad un atteggiamento sempre più freddo e cinico da parte di quella bella signora russa, che pure, quando il padre era ancora in vita, sembrava averlo accolto come un figlio.
Ora aveva appena raggiunto la maggiore età, ed era diventato uno schiavo, un giocattolo nelle mani della sua matrigna e della sorellastra, Natasha (quest’ultima, ancora fanciulla, ma resa viziata dal modo in cui la madre la aveva cresciuta).
Al cospetto delle Dee, doveva sempre stare in ginocchio, non usciva mai di casa ed era costretto a svolgere lavori domestici gravosi, accanto alla giovane inserviente filippina, Tala. Ad ogni minima mancanza, era punito nel modo che la sua matrigna riteneva più opportuno. Gli schiaffi, i calci e gli sputi erano all’ordine del giorno.
Chiunque, dall’esterno, avrebbe giudicato tutto ciò come violenza, vessazioni e abusi. Non sapendo che, nel suo intimo, Emanuele era ben lieto di servire la sua bellissima matrigna, e gioiva delle continue umiliazioni alle quali era sottoposto.
Anche il dover sottostare ai capricci della sorellastra, che pure era ancora una bambina, non faceva che aumentare quel senso di eccitazione che faceva di lui uno schiavo per natura: d’altra parte, anche ciò rientrava neglio obblighi che, nel tempo, Alena gli aveva imposto con freddezza e distacco.
La bella donna dell’est, ora benestante e in carriera presso l’ambasciata, aveva avuto gioco facile in questo: quando il ragazzo era ancora un virgulto, agli albori dell’adolescenza, lei aveva scoperto una gran quantità di materiale virtuale a tema Femdom in una cartella del PC: pur non anvendolo mai detto apertamente, aveva sfruttato a suo vantaggio, con un acume e un calcolo tipicamente femminile, la debolezza del ragazzo.
Ora, totalmente umiliato e degradato, era un semplice oggetto ad uso e consumo di lei, e un giocattolo per sua figlia.

Piedi BambinaLa bambina era quasi una Barbie in carne ed ossa: bionda e bella come la mamma, amava vestirsi con vestitini rosa e tingersi le unghie di mani e piedi di uno smalto vuola con i brillantini. Aria di superiorità e sufficienza, occhi azzurri, amava farsi preparare la colazione dal suo fratellastro, schiaffeggiandolo in continuazione, anche per gioco. Le piaceva truccarlo come un bambolotto, e lo usava spesso come tale, facendolo baciare con le sue bambole.
Si faceva da lui chiamare “principessa”, e spesso gli metteva i piedi in faccia, facendoglieli annusare.
Lo usava anche come pony, facendosi portare in giro per la casa. Talvolta doveva essere la madre a porre un freno al brio giovanile della bambina.
La bellezza di Alena era, per il ragazzo, eterea e irraggiungibile, visto che lei, degnandolo quasi nemmeno di uno sguardo, non gli permetteva il contatto diretto con il suo corpo, non fosse per farsi baciare scarpe e piedi quando rientrava in casa.
Per disciplinare la sua sissy, le aveva imposto una chastity built: per Emanuele, ribattezzato Taty, questo era il fardello più pesante da portare, dati i bollenti spiriti dovuti all’età e agli ormoni in circolo, e al fatto di avere una gnoccona di un metro e novanta come matrigna.
Alena, dagli occhi di ghiaccio, sapeva passare da un atteggiamento freddo, distaccato e algido a uno deridente e umiliante, a seconda di come le girava: nel secondo caso, non si risparmiava di ricordare al ragazzo la sua scarsa virilità, il suo fisico gracile e di aspetto non gradevole, e il fatto che sarebbe stato per sempre un essere inferiore alla sua completa mercè.

Piedi Russa
Per umiliarlo ancora di più, e per ribadire la sua superiorità slava, aveva iniziato col tempo ad impartirgli gli ordini in lingua russa. Il povero Emanuele, quando non capiva, veniva sgridato e schiaffeggiato: di necessità virtù, pian piano aveva assimilato i comandi della matrigna e della sorellastra, e scattava per esaudirli.
Sventolava spesso la chiave della gabbia di castità, appesa ad una cavigliera oppure alla collanina, davanti alla faccia del ragazzo, ricordandogli di avere il controllo assoluto sulla soddisfazione dei suoi istinti sessuali. La castità poteva durare anche settimane, a discrezione della matrigna. La soddisfazione dei bisogni sessuali avveniva nel seguente modo: una volta liberato il membro di Taty, che istantaneamente diventava turgido, egli aveva il permesso di masturbarsi, in ginocchio sul pavimento e con lo sguardo rivolto in basso, tutto sotto lo sguardo fisso e glaciale, a tratti beffardo, della padrona, che a volte batteva la punta della scarpa sul pavimento, come a comunicare di fare rapidamente, oppure faceva commenti sulle dimensioni del pene di Taty.

Piedi BambinaQuando finalmente lo schiavo schizzava sul pavimento, la matrigna schioccava le dita e indicava in basso: era il segnale che lo schiavo doveva provvedere a pulire il frutto della sua agognata concupiscenza con la lingua. Si accucciava e iniziava a leccare ogni goccia, mentre lei gli premeva la scarpa in testa per umiliarlo ancora di più. Finita la pulizia, il pene veniva di nuovo recluso a forza nel suo angusto guscio, non sapendo quando sarebbe potuto tornare di nuovo libero.
Accadeva raramente che anche Tala, la servetta filippina, venisse coinvolta nelle umiliazioni della povera Taty. Quando Alena era di buon umore, faceva mettere a Tala il sedere sulla faccia del ragazzo, che si masturbava fino a schizzare sui piedi, odorosi e sudaticci, di questa. Poi, ovviamente, li doveva ripulire con la lingua. In tali frangenti, la pena dello schiavo era resa leggermente più piacevole.
Presto Alena aveva portato un compagno stabile a casa loro. Emanuele, detto Taty, aveva dovuto iniziare a servire anche lui, che si era reso sempre più complice della compagna nel dominare il figliastro.

Divina Giulia e Padrona Jasmine

Divina Giulia 3Cammino a fianco delle mura aureliane, un caldo pomeriggio di estate. Non si incrocia un’anima. La Divina mi attende. Forse sono in ritardo, e non so dove devo andare. Mi fermo sotto la pensilina del bar, nell’attesa che la Divina mi dia l’OK per raggiungere la location. Ho la gola secca a causa dell’arsura, quindi penso di andarmi a prendere qualcosa al bar alle mie spalle. Il mio pensiero viene interrotto dalla chiamata della padrona: al telefono, mi rimprovera per il ritardo. Ho perso la cognizione del tempo, non so di quanto ho fatto tardi. Dice che si deve cambiare: “I piedi ti piacciono odorosi? Allora non me li lavo!”. La sua voce è calda e accattivante.
La serranda del doungeon è socchiusa, mi devo accucciare per entrare. Non appena alzo gli occhi, mi trovo di fronte due autentiche Dee, che hanno gli occhi vitrei puntati su di me. Mi porgono le mani e le bacio umilmente. Sono teso, e la Dea Giulia mi fa notare che ho lasciato aperta la chiamata al telefono. Mi fanno spogliare: rimango in mutande, in ginocchio, con le rose in mano. Divina Giulia me le prende dalle mani, poi arriva Jasmine che, rapida, mi mette il collare, al quale viene agganciato un guinzaglio. Il mio sguardo non può che andare ai bellissimi piedi di Jasmine, il cui odore mi inebria le narici.
Quasi intuendo le mie necessità, la Divina mi fa abbeverare in una ciotola. Bevo l’acqua con la lingua, da bravo cane, mentre la padrona continua a riempire.
Le Dee si divertono poi a lanciare una pallina, che devo rincorrere a quattro zampe, prendere con la bocca e riportare. Nel fare ciò, il guinzaglio si impiglia nello specchio, che per poco non mi cade addosso; vengo salvato dalla magnanimità di Padrona Jasmine.
Come seconda prova, vengo fatto sdraiare sul pavimento, e mi ritrovo con i piedi di entrambe in faccia. L’odore è sublime: più pungente quello di Jasmine, più greve quello della Divina.
I piedi di Jasmine scorrono nudi sulla mia lingua, facendomi degustare il salato del suo sudore. Giulia indossa invece un paio di calze, che sfregano morbidamente sulle mie guance. Vedo gli sguardi imperiosi delle Padrone puntati su di me. “Vedi di leccare bene! Guarda che abbiamo la frusta!”, minaccia Jasmine.
La divina mi ordina di masturbarmi. Il mio inutile verme stenta ad assumere consistenza, nonostante la Divina sia in attesa con un righello in mano: vuole mettermi di fronte alla limitatezza della mia virilità. Le Divine iniziano a conversare disinvoltamente fra loro, nella vana speranza che il mio membro inutile possa prendere vigore.

Divina Giulia
Poi la Divina mi fa adorare le sue scarpe rosse col tacco, che lecco avidamente. “Prendimi l’accendino a destra!”, mi ordina. Naturalmente lo cerco alla mia sinistra. “DESTRA!”: la padrona mi sta facendo proprio perdere la testa. Finalmente lo trovo, e accendo la sigaretta della padrona.
Di fronte alla criticità della situazione, Divina Giulia cerca di ricorrere agli estremi rimedi. Mi fa sedere sul piatto della doccia, e inonda il mio volatile barzotto con un getto caldo del suo nettare divino. La visione paradisiaca della patata della Dea, unita al tepore del suo nettare caldo che scorre su di me, fanno aumentare la rigidità del pene. Ma non è abbatanza.
Mi lasciano lavare, ma nella fretta e per il black-out emotivo che la divina mi ha indotto dimentico di chiudere lo sportello. La Padrona me lo rimprovera.
Abbassano anche le luci, credendo che quel briciolo di virilità che alberga in me si possa risvegliare. Tutto è vano: sto deludendo le mie Padrone, che se la ridono. “E’ così che servi la tua Dea? Ma che delusione che sei!”, dice Giulia.

Divina Giulia 5Si mettono ai miei fianchi, mentre io in ginocchio continuo a masturbarmi: sembra che il mio membro non ne voglia sapere, come se la loro Divinitàlo avesse paralizzato. La Dea mi mette il suo sedere in faccia, ordinandomi di annusare: la fragranza dell’ano divino finalmente sortisce i suoi, seppur lievi, effetti.
“Se non ti si addrizza nemmeno così significa che sei frocio, e ti inculiamo!”, minaccia Giulia, mentre adesso è Jasmine che mi fa adorare il suo culetto. Poggia il suo piede nudo sul mio inguine, ed esplodo in un’eiaculazione in onore delle mie Dee.

“Finalmente!” – esclama Giulia – “hai visto, le minacce servono a qualcosa allora! Jasmine, ci serviva il tuo culo per farlo venire!”.
Concludo l’opera ripulendo, su ordine di Giulia, il prodotto della mia concupiscenza. “Ma guarda che dolce cagnolino”, mi saluta Jasmine. Ci salutiamo, con la speranza di rivederci presto.

Domiziana – parte IV

Piedi

Le ragazze dopo l’ultima sera avevano preso gusto nel giocare a dominare il povero ragazzo, che, dal canto suo, nonostante l’imbarazzo e l’umiliazione che aveva provato non poteva fare a meno di degradarsi dinnanzi alle sue carnefici. Il fatto che ad imporgli tutto ciò era la sua Dea Domiziana rendeva il gioco ancora più eccitante.

Così chiesero a Domiziana di portare più spesso il suo cagnolino alle loro cene.

Non passò molto prima che ne organizzassero un’altra, questa volta a casa di Carolina. Questa volta erano in tre le ragazze, dato che Federica era fuori con il ragazzo Diego. Tutte e tre le commensali arrivarono un’ora prima della cena. Quando arrivò Domiziana con il suo schiavetto, questo venne fatto inginocchiare sullo zerbino e gli vennero fatte alzare le braccia tre volte in segno di adorazione delle padrone. Poi le tre si fecero baciare la mano. “In cucina!”, disse perentoria Carolina; il ragazzo si alzò di scatto, e si diresse rapido in cucina, beccandosi un calcio nel sedere dalla padrona di casa.

Appena entrato, il cuore gli iniziò a battere quando vide che tutte e tre le sue carnefici lo circondavano col sorriso beffardo. Gli venne fatto indossare il grembiule e la parrucca. “Bello!”, lo sbeffeggiò carolina, con dei buffetti sulla guangia; nel sentirle ridere, sentì il calore salirgli al viso, e la pressione sanguigna aumentare, provocandogli un’erezione. Domiziana se ne accorse, e col suo sguardo implacabile lo annientò, dandogli poi una ginocchiata sui testicoli che lo fece piegare: “Schifoso!”

Quando si riebbe, Carolina con uno schiocco di dita gli indicò il pavimento, facendolo inginocchiare. “Bacia il pavimento!”, gli disse. Contrariato, la guardò con aria supplichevole, come a chiedere se avesse dovuto farlo veramente. “Hai sentito quello che ho detto, o sei sordo?”, disse lei, quasi alterata: nello stesso tempo, Domiziana si avvicinò di scatto e gli diede un calcio nel sedere, mentre lui iniziò, seppur riluttante, a baciare le mattonelle. Carolina gli mise la scarpa sulla nuca, e lo schiacciò col naso per terra; poi, fece un gesto vittorioso con le braccia, che fece ridacchiare le due amiche. Lui continuava, col poco margine di manovra che il piede della dominatrice gli lasciava, a baciare il pavimento. Quando venne liberato, le tre decisero di fare un giochetto: avrebbero passeggiato per la stanza, e il loro cagnolino, a quattro zampe, avrebbe dovuto baciare il pavimento dove camminavano. A turno, ciascuna delle ragazze lo costringeva a seguirla goffamente a quattro zampe, spronandolo battendo le mani: “Forza! Più veloce cagnolino! Ihihihi!” Se non riusciva a stare al passo e a baciare dove camminavano, si beccava un ceffone o una zampata. Le altre due guardavano divertire, appoggiate al termosifone. La più spietata, sia con gli insulti che con le percosse, fu ovviamente Domiziana, col cinismo che la contraddistingueva e con la consapevolezza di avere il dominio assoluto sulla mente e sul corpo del suo schiavo. Roberta ci andava più leggera, ma si calava bene nella parte.

Quando questo gioco finì, le ginocchia del ragazzo erano doloranti, le guance infuocate e la testa gli ronzava per gli schiaffi ricevuti. Per farlo “riprendere”, Carolina gli porse i suoi piedi, che calzavano delle scarpe sportive bianche, e se li fece leccare. “Lecca bene, cagnolino! Uh, ma come sei bravo! Allora qualcosa sai fare! Ihihihi”

“Tieni, assaggia le mie!”, disse Roberta dai capelli rossi. Le scarpe di Roberta erano più sporche rispetto a quelle di Carolina. “Facci vedere la lingua!”, gli disse lei. Tirò fuori la lingua, tutta annerita e impolverata, che fece scoppiare grasse risate.

Piedi Paola

Quando si fece ora di cena, il ragazzo fu mandato a ritirare la pizza, che dovette pagare di tasca propria. Poi, al ritorno, dovette apparecchiare la tavola, mentre le sue padroncine stavano sul divano a guardare la TV. Non lo degnavano di considerazione, salvo chiedergli di tanto in tanto se avesse finito, che avevano fame. “Ma quanto cazzo ci metti? Ti muovi? Se non ti sbrighi ti facciamo vedere noi!” lo minacciavano, sghignazzando.

La cena si svolse sulla falsariga della precedente, senza niente di eccezionale. Il povero ragazzo, oltre a dover servire la cena, si dovette sorbire una buona dose di umiliazioni verbali, schiaffi, sputi e calci. Per farlo bere, le ragazze gli avevano riservato una bacinella piena di acqua, nella quale si erano divertite a sciacquare dei calzini ripescati dal cesto dei panni sporchi. Da mangiare, gli diedero dei pezzi di pizza che calpestarono accuratamente a turno: ovviamente dopo averli mangiati lo schiavetto dovette pulire il pavimento con la lingua. Appena finito di cenare, le tre ragazze decisero di guardarsi un DVD: si tolsero le scarpe, e si spaparazzarono sul divano. davanti al divano c’era un poggiapiedi, ma Domiziana ebbe la fantastica idea di usare il suo schiavo a tale scopo. Così vennef atto mettere a quatro zampe, e le tre vi appoggiarono i piedi. Passarono tre quarti d’ora, durante i quali, oltre allo sforzo titanico di mantenere quella scomoda posizione, lo schiavetto si beccò qualche pedata e insulti sulla sua scarsa virilità. Di tanto in tanto poi Carolina si divertiva a mettergli i piedi in faccia, ordinandogli di annusare: “Puzzano vero? Ahahaha”. Allora alle tre venne in mente un altro giochino: il ragazzo era stato bendato, quindi le ragazze gli facevano annusare i piedi a turno e lui, posizionato davanti al poggiapiedi, doveva indovinare di chi fossero. Domiziana indossava un paio di calzini rosa, mentre Roberta aveva dei gambaletti semistrasparenti. Carolina portava dei classici calzini bianchi, la cui suola era diventata nera a forza di camminare scalza per la casa durante la cena. Ogni volta che il ragazzo sbagliava, gli arrivava una serie di schiaffi dalla proprietaria del piede. Alla fine però gli odori dei diversi calzini gli si erano talmente impressi nel cervello che indovinava sempre a chi appartenessero. Come “premio” finale, Carolina se li tolse e glieli infilò in bocca. Quando gli fu tolta la benda, si trovò di fronte alla visione celestiale dei piedi nudi di Carolina: taglia 39, dita affusolate, di un candore fuori dal comune. L’odore vivo della pelle di quei piedi, assai più dolce di quello dei calzini, gli inebriò le narici, accendendogli dentro una forza vitale e una eccitazione che il duro lavoro di quella sera in parte aveva smorzato. Carolina se ne accorse, e si divertì ad avvicinarglieli alla faccia, sventolandoglieli a pochi centimetri dal naso. Avrebbe voluto leccarli, ma non gli fu permesso subito. “Ti piacerebbe leccarli, eh? Sono troppo puliti per quella fogna di bocca che ti ritrovi! Che dite voi? Lo accontentiamo?” – “Ma si, dai. Stasera è stato bravo!”, rispose Roberta. Domiziana rimase indifferente. Allora Carolina iniziò a passeggiare scalza per la casa, ordinando allo schiavo di seguirla a quattro zampe. Ogni tanto si fermava e si faceva baciare il piede: passò in bagno, nelle camere da letto, in cucina e infine ritornò in salotto. Si guardò un piede e disse: “Bene, adesso si! Vieni schiavetto!” Le piante dei piedi erano ora impolverate: “Lecca!”, disse Carolina. Lui obbedì, iniziando a leccare delicatamente la pianta del piede destro, dal tallone fino alle dita. Succhiò le dita uno ad uno, mentre la ragazza le muoveva ogni tanto. Passò all’altro piede, ripetendo il servizio. Le altre due ragazze alternavano espressioni di disgusto a sorrisini di derisione, ma in fondo quella situazione le intrigava. Leccò fino a quando le piante non tornarono abbastanza pulite. “Bravo piccino!”, disse, sfottendolo. Ma la serata non era ancora finita.

Domiziana – parte III

Piedi

Il suo entusiasmo durò poco, e il suo morale scese rapidamente sotto le scarpe: ma non potè fare a meno di obbedire alla richiesta della sua padrona. E passarono nonostante ciò diverse settimane prima che lei si rifacesse viva. Lo chiamò dicendogli che stava organizzando una cena a casa sua, con le sue amiche, e che lui le avrebbe dovute servire.

Il giorno decisivo, si ritrovò a casa della sua padrona assieme alle amiche di lei: Roberta, Carolina e Federica. Era stato preventivamente mandato a comprare la pizza, che naturalmente dovette pagare lui.

Appena arrivato, Domiziana lo aveva accolto schiaffeggiandolo sonoramente, per ricordargli chi comandava. Poi per umiliarlo le quattro gli avevano fatto indossare un grembiulino: la loro malsana idea di fargli indossare anche le scarpe coi tacchi per fortuna fallì, dato che non gli entravano. Nemmeno quelle di Carolina, che pure portava un 39 abbondante ed era la più alta delle quattro.

Per tutto il resto della serata, dovette adempiere al compito che la mente diabolica della sua padrona aveva concepito: fare da servo a quattro ragazzine in vena di divertirsi e di umiliarlo. Per questo era anche un pò timoroso, in quanto, pur essendo eccitato all’idea di essere un giocattolo nelle mani di una padrona, tuttavia nutriva dei dubbi sulle intenzioni di lei e sul fatto che questa non aveva un briciolo di premura nei suoi confronti, anche a causa della sua immaturità. Ma ormai era alla loro completa mercè.

All’inizio, servì le padrone beccandosi “soltanto” una buona dose di ceffoni e insulti, il tutto fra le risate generali. Ogni volta doveva stare in ginocchio a guardare le ragazze dal basso mentre mangiavano, fino a quando non gli ordinavano di portare altra roba. Con le ginocchia doloranti l’impresa diventava sempre più ardua. “Muoviti, imbecille!”, tuonava la voce di Domiziana: “Sei proprio un idiota!”, diceva, schiaffeggiandolo, mentre le altre tre se la ridevano. Una cosa che lo mandava letteralmente in estasi era quando la sua padrona lo afferrava per la maglietta, tirandolo a sè, e lo fissava negli occhi, con uno sguardo fermo, magnetico, penetrante: quegli occhioni da cerbiatta, che, nonostante lo sguardo irato, non riuscivano a nascondere una certa dolcezza. A rompere questa estasi paradisiaca, le voci squillanti delle altre, che iniziavano per dispetto a impartirgli ordini tutte e tre insieme, e lo schiaffeggiavano nel momento in cui non riusciva ad esaudirli. Per umiliarlo, ogni tanto gli tiravano addosso bevande, o lo colpivano con le bottiglie di plastica vuote. Se provava a difendersi dai colpi, infierivano ancora di più. Non serviva a niente implorare pietà. La più tranquilla della comitiva sembrava essere Roberta: molto composta e contenuta, anche se aveva quell’aria da furbetta che bastava a umiliare. Fu proprio Roberta a proporre di truccare il povero ragazzo, che venne portato in bagno, a metà della cena, e conciato per bene: “Guarda che faccia da pompinara che hai! Tanto abbiamo capito che sei frocio.”. Ovviamente il tutto veniva fotografato coi telefonini. Continuò ad essere degradato, fra risatine varie e sputi in faccia, per il resto della serata. Man mano che le ragazze bevevano, il loro ritegno andava scemando: avevano iniziato a spalmare del cibo sulla faccia dello sventurato, al quale venne anche ordinato di mangiare dal pavimento, dopo che le perfide padrone lo avevano calpestato. Federica si divertiva a farglielo leccare direttamente dalla suola delle sue scarpe.

Roberta aveva un bel paio di stivali rosa, e più volte aveva minacciato di farli “assaggiare” allo schiavo, puntandoli sui suoi testicoli. Carolina nel frattempo aveva preso a schiaffeggiarlo selvaggiamente, ridendo come una forsennata; Federica, dal canto suo, volle movimentare un pò la serata proponendo alle compagne, a giro, di prenderlo a calci sui testicoli. Di fronte a questa proposta, il ragazzo iniziò a tremare e a implorare, ma Carolina, accarezzandolo in testa, abbozzò una falsa dolcezza che aveva il sapore più autentico della presa per il culo: “Tranquillo, lo sai che le tue padrone ti vogliono bene, vero ragazze?” – “Oh, ma si! Ahahahah!”. “Forza, alzai e allarga le gambe”, disse Domiziana. “Vi prego, questo no! Vi supplico …” disse lui, con la voce che quasi tremava.

Piedi Silvia

Carolina gli si mise dietro, tenendogli le mani ferme, mentre Federica, la promotrice dell’iniziativa, tirò un calcio fra le gambe del ragazzo, che cacciò un urlo e si accasciò a terra. Mentre era rannicchiato, Domiziana gli ordinò perentoriamente di rialzarsi, ma dato che stentava, iniziò a prenderlo a calci sulla schiena. “Alzati, ho detto, o sarà peggio per te!”: disse, tirandogli i capelli. Quando si rialzò, Carolina lo “aiutò” a rimettersi in posizione, puntandogli un ginocchio sulla schiena e tirandogli le braccia in dietro. Roberta, per sua fortuna, ci andò leggera, con la sua solita delicatezza, quasi solo appoggiando il dorso dello stivale sulle palle dello schiavo, che comunque sobbalzò dallo spavento. “Roby, ma che fai, dagli giù più forte, dai! Ti fà per caso pena questo deficiente?”, la spronò Domiziana. Così Roberta lo colpì più forte, tanto che questo si dimenò al punto da liberarsi dalla presa di Carolina, gettandosi di nuovo a terra, piagniucolante. Venne rimesso in piedi, e Domiziana gli diede una ginocchiata che non gli lasciò scampo. Dolorante, piagniucolante e implorante, sul pavimento, iniziò a fare tenerezza alle quattro, tanto che Carolina, alla quale sarebbe spettato il turno, mettendogli la scarpa sulla guancia disse che poteva bastare. “Dai, sennò lo ammazziamo!”, poi, rivolta al ragazzo, “vedi che ti vogliamo bene? Dovresti ringraziarmi! Baciami il piede!”, Il ragazzo baciò più volte la scarpa a Carolina, e con voce tremolante la ringraziò: “Grazie padrona, grazie!”. La stessa cosa fece con le altre, che gli porsero i piedi una dopo l’altra.

Per completare l’opera, venne schiaffeggiato ancora un pò: ogni volta che una delle ragazze anche solo alzava una mano, per istinto lui si riparava la faccia, tremando: a tal punto lo avevano conciato.

Poi gli fu permesso di andare in bagno a riprendere fiato. A questo punto, il gioco poteva dirsi concluso, e ci fu tempo per un pò di social time, durante il quale le tre ragazze, eccetto Domiziana, gli dissero che era stato bravo e lo ricompensarono baciandolo sulle guance. La sua padrona invece era fredda e distaccata come al suo solito. Chissà la prossima volta cosa gli sarebbe toccato fare.

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