Schiavo di una coppia di colore – parte II

L’ulteriore “salto di qualità” il ragazzo lo fece quando la coppia iniziò a scambiarsi effusioni amorose in sua presenza: dai baci, alle carezze nelle parti intime, fino ad arrivare a denudarsi entrambi in mentre lui era in ginocchio al loro cospetto, costretto ad osservare immobile per ore. Oppure i padroni erano soliti lasciare il loro cagnolino accucciato fuori della porta della loro camera mentre avevano rapporti sessuali, in modo tale che potesse sentire i loro gemiti e grida di piacere.

Il cucciolotto era stato in seguito educato ad assistere direttamente ai loro rapporti, senza potersi nemmeno toccare:doveva rimanere con la faccia prossima ai loro piedi (che, alla fine della giornata, puzzavano parecchio) ad inalare la puzza e a beccarsi di tanto in tanto dei calci in faccia (intenzionali o dovuti alla foga); andava in estasi nell’inspirare quell’odore intenso ed acre, un mix fra l’odore della pelle tipico delle persone di colore, quello delle scarpe di cuoio della donna e quello delle scarpe da ginnastica dell’uomo. Alla fine doveva ripulire i loro sessi: doveva leccare via lo sperma dalla figa della padrona (che aveva delle grandi labbra scure) e, dopo aver vinto una riluttanza fortissima, anche il membro del padrone, che all’inizio sembrava non gradire molto . Dario si sentiva al sommo dell’eccitazione quando, alla fine, stava per ore intere inginocchiato ai piedi del loro letto, nudo, con il senso di costrizione e prostrazione che gli davano le catene legate ai suoi polsi, con le ginocchia doloranti, il sapore acido di sperma che riempiva la sua bocca, l’odore dei piedi e dei corpi dei due padroni (addormentati) che permeava le sue narici, fin quando alla fine non cedeva e crollava sul pavimento, addormentandosi anch’esso.

Una volta la sua padrona lo chiamò, e Dario entrò a quattro zampe nella loro stanza, trovandoli uno di fianco all’altro completamente nudi. Con un dito gli ordinò di accucciarsi. Gli fece cenno di avvicinarsi, poi lo prese per i capelli e lo avvicinò al cazzo moscio di Patrice: sembrava enorme anche così, e poteva percepirne l’odore nauseabondo.

“Faglielo venire duro!”

L’uomo, disgustato, disse:

“Amore, ma che schifo, me lo devo far prendere in bocca da questo schifoso?”

La donna iniziò ad accarezzarlo, a biaciarlo, dicendogli:

“Dai amore, fallo per me, vedrai che ti piacerà, fai finta che sia io a succhiartelo…mmm”

“Va bene, per stavolta, forza, frocetto, succhiamelo!”

Il ragazzo lo prese in bocca, vincendo un conato di vomito, ed iniziò a fare su e giu. Immediatamente ricevette uno schiaffone dalla padrona:

“Sei un buono a nulla, si fa così un pompino? Ti sembra che io glie lo ciucciavo così?”

Dopo aver spiegato allo schiavo il modo corretto per eseguire la fellatio, e dopo diversi ceffoni correttivi, il povero Dario continuò a succhiare avidamente quel grosso cazzo, al confronto del quale il suo era un moscerino. Sentiva le vene pulsare di piacere e il sapore della cappella riecheggiare nella sua cavità orale. Un misto di vergogna e di disgusto fecero arrossire il ragazzo, e pensò a quale sarebbe stata la pessima figura che avrebbe fatto se solo qualcuno lo avesse saputo.

Il membro dell’uomo, a contatto con la saliva calda, subitamente si indurì, ma per continuare a rimanere eccitato Patrice dovette concentrare intensamente l’attenzione sulle tette e sulla gnocca di sua moglie, iniziando a succhiare i suoi capezzoli. Sempre più eccitato, prese il ragazzo per i capelli ed iniziò a muovere la sua testa con violenza e ritmicamente, mentre Dario, sentendo il cazzo toccarli il palato e scivolare veementemente fino alla gola, iniziò a tossire. L’uomo stava per venire, ma l’intervento della donna allontanò la testa dello schiavetto: accarezzò il pene, che aveva dimensioni impressionanti, e, sentendo che era duro al punto giusto, diede due schiaffetti sulla guancia di Dario.

Da allora in poi ci fu un accordo fra i due coniugi: ciascuno avrebbe potuto usare il ragazzo per il sesso orale. E così il povero disgraziato venne costretto più volte ad eseguire cunnilingus alla padrona, mentre l’uomo lo usava ripetutamente per farsi fare pompini e irrumatio: al povero Dario non era concesso provare alcun piacere (spesso, nel vedere il suo membro eccitato, i padroni si divertivano a farglielo afflosciare con calci sui testicoli), se non, alla fine della giornata (e anche qui dipendeva dall’umore di Miriam) di potersi masturbare ai loro piedi, venire sulle loro scarpe e leccare poi il tutto; spesso però la sadica Miriam lo colpiva con calcetti sulle palle per rovinare il suo orgasmo.

Ormai era diventato un giocattolo sessuale, una troia pompinara, il suo orgoglio maschile era stato pressoché annientato: ma proprio per questo si sentiva ormai indissolubilmente legato a quella che sembrava essere diventata la sua seconda famiglia. Era completamente nelle loro mani.

Schiavo di una coppia di colore

Miriam era una donna nigeriana, ma che viveva in Italia da almeno un decennio, sui 30 anni, bella e sensuale, dalle grandi labbra carnose. Da tempo aveva notato le attenzioni di un giovane ragazzo del suo quartiere, Dario: inizialmente aveva iniziato con l’accorgersi di particolari sguardi, espressioni del viso e dell’impatto che la sua fisionomia aveva su di lui. In particolare, i suoi bellissimi piedi, lunghi e dalle dita leggermente carnose, di un bel colore ambra scuro, erano spesso intercettati dallo sguardo timido e sfuggente del ragazzo.

Con l’intraprendenza e il calcolo propri di chi sfugge dalla miseria per costruirsi una nuova vita, da subito la donna aveva deciso di non perdere l’occasione, e aveva iniziato a vestirsi in modo provocante e a rispondere al ragazzo con sorrisi ammalianti.

Il ragazzo si era mostrato sin da subito disponibile e servizievole, e in breve tempo era finito per farsi carico della spesa e di altre mansioni che la donna gli chiedeva, arrivando, tutte le volte che gli era possibile, anche a farLe da autista. Suo marito, Patrice, non si era assolutamente opposto, anzi lo aveva accolto come un amico di famiglia. Ben presto iniziò anche a svolgere lavori domestici, a pulire la casa, a sparecchiare, e a volte aiutava anche la loro bambina, a fare i compiti, il tutto con una disponibilità che lasciava spiazzati perfino loro.

La donna non dovette impegnarsi troppo con giochi subdoli, tattiche ambigue e progetti fini: ben presto il ragazzo le dichiarò che il servirla lo rendeva felice più di ogni altra cosa,e che avrebbe fatto quanto era nelle sue possibilità per soddisfarla e per gratificarla, senza chiedere nulla in cambio. Certo, la donna colse soltanto l’aspetto profittevole della situazione, ma ben presto vi avrebbe trovato anche le sfaccettature piacevoli e dilettevoli. Il marito, al corrente di ciò, aveva fatto buon viso a cattivo gioco, vincendo l’istintiva gelosia e sicuro che avrebbe avuto la situazione sotto controllo (d’altra parte la donna non sfuggiva agli sguardi libidinosi degli altri uomini del paese).

Non si dichiarò apertamente loro schiavo, ma di fatto aveva iniziato a farsi carico delle richieste (sempre più gravose) dei loro padroni, senza opporsi. Ogni tanto, per gratificarlo, la padrona lo carezzava delicatamente sulla testa e lo baciava sul guanci otto, fissandolo con i suoi grandi occhi ammiccanti. Di tanto in tanto la donna si divertiva a metterlo in difficoltà o in imbarazzo: spesso si baciava profondamente e spassionatamente con il marito in sua presenza, oppure, nel notare il desiderio che produceva in lui, gli faceva domande dirette e imbarazzanti, con il suo accento francese:

“Perché mi guardi? Ti piacciono le mie scarpe?”

“s….si, Miriam, sono molto belle…”

“ihihihihi grazie tesoro!”

Una volta,mentre erano in macchina da soli, la donna, che indossava un paio di bellissimi sandali bianchi, gli chiese:

“Tesoro, mi si è slacciata la scarpa, potresti allacciarmela tu?”

A questa richiesta il ragazzo restò disorientato, stupito, poi si chinò verso i suoi divini piedi, (ai quali quel giorno la Padrona aveva applicato uno smalto bianco). I battiti del suo cuore aumentavano: per la prima volta si trovava a poca distanza da quelle meravigliose estremità che aveva sempre soltanto potuto ammirare da lontano; ora poteva osservarne ogni vena, ammirare il rilucere della pelle, percepirne l’odore soave e pungente. Con la mano tremolante prese il laccio del sandalo, e con difficoltà e impaccio riuscì ad allacciarlo, mentre la donna osservava con soddisfazione i tentativi dello schiavo.

Per metterlo in ulteriore difficoltà, gli chiese:

“Perché mi guardi sempre i piedi? Ti piacciono, eh!”

Il ragazzo sentì una vampata di calore pervadere il suo volto, a stento si rialzò e, senza avere il coraggio di guardarla in faccia, ma fissando le sue mani, disse:

“Si, sono bellissimi…non desidero altro che essere Tuo, che essere al Tuo totale servizio! Potrai fare di me quello che vorrai, sarò il Tuo schiavo….”

Stava per singhiozzare dall’emozione; la donna restò in silenzio, poi gli mise una mano sui capelli ed iniziò ad accarezzarlo come un cagnolino, e alla fine disse:

“Baciali!” “Coraggio, cosa aspetti?”

Il ragazzo, con umiltà, si inginocchiò di nuovo, ed iniziò a baciare il piede sinistro della Padrona: iniziò delicatamente a baciare l’alluce, inalando il fantastico odore che il piede emanava, poi passò alle altre dita: la passione che per tanto tempo aveva represso emerse all’improvviso, e con foga continuò a baciare sempre più frequentemente il piede, il dorso, la caviglia, succhiando avidamente e golosamente, impossessandosi dell’oggetto del suo desiderio. La padrona ridacchiava, ma quando il suo schiavo iniziò a infastidirla per la sua veemenza, lo interruppe con un calcetto.

Da allora in poi le cose cambiarono radicalmente: il povero ragazzo venne costretto a svolgere mansioni sempre più frequenti e a subire umiliazioni via via più degradanti. La sua padrona infatti aveva iniziato ad umiliarlo verbalmente e a volte a picchiarlo con sonori schiaffoni: si divertiva poi ad eccitarlo fino a fargli perdere la testa, indossando indumenti sempre più provocanti, per poi picchiarlo ad ogni suo sguardo indiscreto. Ogni giorno, al ritorno dalla spesa, la donna costringeva il ragazzo a seguirla con le pesanti borse su per le scale, e, arrivata sul pianerottolo, si faceva baciare i piedi. Sovente si distendeva sul divano e si faceva massaggiare i suoi piedi odorosi, colpendo ogni tanto il ragazzo con dei calci in faccia e ridendo, umiliandolo.

Anche il marito iniziò ad approfittarne, dapprima umiliandolo verbalmente, poi percuotendolo con calci, per punirlo o per semplice divertimento. In seguito fu imposto al ragazzo di stare nudo in casa loro (quando la figlia non era in casa), con una catena ai polsi, e di inginocchiarsi alla presenza della sua Padrona (e in seguito anche del suo padrone). Trovarono un particolare piacere nel vedere il povero disgraziato nudo, ai loro piedi, a baciare le loro scarpe quando rientravano a casa.

In seguito continuarono ad infliggergli umiliazioni sempre più degradanti: dal leccare il pavimento dove erano passati al pulire il wc con la lingua: la padrona aveva vinto infatti la riluttanza dello schiavo a suon di schiaffoni e frustate. Spesso si dilettavano a frustare con violenza il ragazzo, in ginocchio, per un tempo molto lungo. Il ragazzo aveva imparato anche a massaggiare ed annusare i piedi del suo padrone, anche se l’idea di servire un uomo non lo eccitava affatto (anzi, lo disgustava): spesso si trovava con i suoi calzini di spugna bianchi e che puzavano terribilmente a pochi centimetri dal suo naso, e doveva trattenere il ribrezzo, ma l’idea che tutte queste degradazioni erano imposte dalla sua Divina Padrona gli dava la forza di subirle e di trovare in esse eccitazione. Ciò stante, al di fuori del suo “servizio” il ragazzo veniva trattato come un amico di famiglia, e spesso usciva con loro nelle loro gite domenicali, non senza destare un senso di stupore in chi li guardava dall’esterno.

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