Giochi da adolescenti

Piedi Alessandra

Valeria era la più bella della classe: massimo dei voti in ogni materia, amata e stimata da tutti i professori, corteggiata da tutti i compagni e circondata da un harem di ochette.

Alessandra sembrava esserle l’esatto opposto: dal fisico asciutto, carina ma non appariscente, timida, introversa e fragile, scena muta ad ogni interrogazione e spesso vittima dello scherno delle compagne di classe.

Daniele era un ragazzo schivo, che spesso si ritraeva dalle relazioni con i compagni, ma che nonostante tutto godeva di un minimo di approvazione. Dagli interessi insoliti, a differenza degli altri ragazzi non amava affatto le formosità e i seni prorompenti. Forse è per questo che era uno dei pochi (diciamo anche l’unico) ad essersi innamorato di Alessandra. Un amore platonico non ricambiato. La timidezza del ragazzo lo portava a tenersi dentro ogni emozione, anche quando la sua Alessandra veniva derisa e scoppiava a piangere. Ricordava ancora vivamente una scena, risalente alle elementari, nell’abito della quale le ragazzine avevano regalato alla piccola Alessandra un cornetto acustico di carta per scherno, lasciandola in lacrime in un angolo dell’aula, senza che lui avesse avuto il minimo coraggio di consolarla.

Valeria eccelleva, oltre che in ogni attività scolastica, anche in opportunismo: riusciva ad assumere il controllo anche dei ragazzi più sicuri e sbruffoni, piegandoli ai suoi voleri. Con Daniele non c’era stato bisogno: la sua indole servizievole la si sarebbe indovinata a chilometri di distanza. Oltre ciò, era talmente messo in soggezione dalla bellezza di Valeria, che abbassava lo sguardo in sua presenza. Lei iniziò ben presto a “chiedergli” dei favori, come acquistarle la pizza prima dell’entrata, o portarle in anticipo lo zaino su in aula. Di favori scolastici, certo, non aveva bisogno: nessuno era al suo livello.

Al compleanno di Valeria, finalmente Daniele ricevette il battesimo di schiavo. Infatti la ragazza lo aveva attirato con un pretesto nella sua cameretta, mentre il resto della ciurmaglia era intento a fare baldoria, e, mentre gli mostrava le foto appese al soffitto, gli aveva chiesto di raccogliere un oggetto caduto ai suoi piedi. Mentre era accucciato a raccoglierlo, gli aveva sferrato un calcio e, mentre lui era a terra e si lamentava, era scoppiata in una risata fragorosa. Come a minacciarlo per scherzo, gli aveva appoggiato il piede sui testicoli, al che al ragazzo non era rimasto altro da fare se non supplicarla:

“Ti prego Valeria, no, non farlo, farò tutto quello che vuoi!”

“Bene, allora diventerai il mio schiavetto ihihihihi”

Così, nei pomeriggi che seguirono, i due continuarono ad incontrarsi; ad essi si aggiunse la povera Alessandra, alla quale Valeria aveva offerto aiuto per i compiti (un pretesto, in realtà, per mostrarle la propria superiorità e per sminuirla ulteriormente). Prese così avvio una serie di perversi giochi che di continuo scaturivano dalla mentre di Valeria: così, veniva soddisfatta la sua voglia di prevaricazione e la sua vanità, assieme al desiderio di sottomissione troppo a lungo represso da Daniele e al masochismo velato di Alessandra.

Ovviamente Valeria era la padrona assoluta della situazione: si divertiva a far svolgere a Daniele dei compiti sempre più umilianti, fino a farlo camminare a quattro zampe e a baciarle le scarpe, umiliandolo di fronte alla sua amata Alessandra. Amava poi rinfacciare ad Alessandra la sua incapacità in molte materie, come matematica e disegno:

“Tesoro, ma è così ovvio, come fa la tua testolina a non arrivarci? ihihihihi”

Oppure era solita ricordarle gli insuccessi scolastici del mattino stesso o anche passati, spesso divertendosi ad affiancarli ai suoi successi.

Una delle cose che più gratificava Valeria era, dato che era a conoscenza del debole del suo schiavetto per Alessandra, costringerlo a servire anche lei (che piano piano stava diventando una bambola con cui giocare).

Piedi Claudia 2“Leccale i piedi!” era il comando che più frequentemente gli impartiva: e la povera Alessandra era costretta a subire tali servigi senza battere ciglio. D’altronde, Daniele, oltre al senso di umiliazione ed imbarazzo, finalmente poteva sfiorare quel corpo che da tanti anni rappresentava un qualcosa di irraggiungibile. Così si ritrovava a leccare i piedi della sua Alessandra con una foga e una passione che a stento poteva trattenere: l’odore di quei piedi, la levigatezza di quella pelle, il calore di quel corpo erano per lui il Santo Graal tanto agognato e finalmente raggiunto (sarebbe meglio dire concesso). Infatti per nulla al mondo Alessandra avrebbe ricambiato il suo amore. La sua padrona si divertiva sadicamente, nel momento in cui era al culmine dell’eccitazione, ad ordinargli di fermarsi e ad interrompere la sua goduria, lasciandolo fermo, in preda a fremiti, a contemplare l’oggetto del suo desiderio.

Il ragazzo sentiva moltiplicata ed amplificata all’ennesima potenza quella sensazione di impotenza e frustrazione che aveva provato, diverse volte, nel vedere la sua Alessandra derisa e umiliata da Valeria e dalle sue ochette. Ora la sua padrona si divertiva anche a paragonare il suo fisico (quasi da modella) a quello di Alessandra: tastandola e accarezzandola sensuamente, non mancava di fare osservazioni del tipo:

“Ma che tette piccole che hai! Senti, tocca le mie: te le puoi sognare delle tette così. Hihihihiih. Ora ho capito perché nessuno ti viene dietro, a parte quel disgraziato. Hihihihihi. E tu – indicando il ragazzo inginocchiatole dinnanzi – devi essere proprio affamato per ridurti ad andarle dietro. Hihihihihihi”.

Al che, come era naturale aspettarsi, Alessandra scoppiava in un pianto dirompente e ininterrotto, e furiosa scappava in bagno.

Un’altra forma di supplizio era l’indurre forzatamente Daniele ad esprimere giudizi di fronte alle due ragazze. “Chi ha il culo più bello? Diccelo tu!”. Esprimere anche la minima preferenza per Alessandra sarebbe significato andare incontro alle punizioni più raffinate quanto crudeli: dall’annusare i piedi di entrambe per ore, all’essere calpestato, all’essere preso a schiaffi e graffi. All’inizio però la risposta veniva forzata con una strizzata di palle.

Per Daniele erano eccitanti i momenti nei quali la padrona si faceva la doccia, e lui la attendeva in ginocchio, con l’asciugamano pronto a cingerla, mentre Alessandra si sdraiava a mò di tappetino: quando Valeria usciva, calpestava la testa della ragazza e usava i suoi capelli per asciugarsi i piedi.

Ad un certo punto però Valeria si era stufata di essere la sola dominatrice, ed aveva così dato inizio a dei giochi di “ruolo”, nei quali uno dei due schiavetti aveva dei margini di dominazione.

Ad esempio, per un breve periodo a Daniele venne concesso di recitare la parte del marito di Valeria: si baciavano, stavano in intimità, a volte fingevano di fare sesso (non gli sarebbe mai stato concesso), mentre si divertivano a guardare la schiavetta che puliva la casa.

Una volta Valeria aveva deciso di fare un regalo al suo “amore” per compleanno. Lo aveva fatto sedere accanto a lei sul divano, e, mentre lo coccolava, ad un battito di mano era uscita dalla porta della cucina Alessandra, acchittata come una troia, col le labbra colorate di un rossetto scuro, minigonna e stivali col tacco a spilllo. Sculettava e ancheggiava, come le aveva ordinato la padrona.

“Guardala amore, sembra proprio una troia d’alto borgo ahahahahah”.

“Questo è il regalo per il tuo compleanno tesoro! E’ tutta tua, fanne ciò che vuoi…” le aveva sussurrato.

Poi, accarezzando la ragazza (inginocchiatasi al loro cospetto), le aveva detto: “Che c’è tesoro, non t và di essere la troia di Daniele, andiamo….”

E lei, piagnucolando: “No padrona, ti prego…”

“Amore, questa troia si rifiuta di farti un pompino! Io mi sarei incazzata di brutto ad essere rifiutata perfino da un essere del genere!” e appioppò un ceffone alla schiava.

Alla scena il ragazzo si era eccitato all’inverosimile, e finalmente si era ritrovato l’amore della sua vita che gli faceva una pompa magistrale: non resistette a lungo, ed esplose in un gemito di piacere, inondando la faccia della ragazza. Il tutto si era concluso con i due che si abbracciavano e ridevano, e la povera Alessandra arrossita di vergogna e in lacrime.

La sera Valeria e Daniele avevano finto di fare sesso e di pomiciare, mentre ad Alessandra era toccato il compito di “aiutare” la sua padrona a far erigere il pene del ragazzo. In seguito i due avevano continuato ad amoreggiare,mentre la ragazza, in ginocchio, stava ferma a guardarli: alla fine avevano simulato un coito anale, con Daniele che strusciava il pene fra le natiche di Valeria ed esplodeva di piacere.

Dopo che Alessandra si era rifiutata di ripulire la cappella di Daniele, la padrona, infastidita, decise di punirla. Alessandra era particolarmente insofferente al dolore: bastava che la sua padrona alzasse la mano contro di lei, che, tremolante e lagnante, si gettasse ai suoi piedi supplicandola. Stavolta però non servì a nulla: venne imbavagliata, ammanettata contro l’armadio, e frustata con una cintura. Daniele cercò in un primo momento di fermare la padrona, dati i gemiti e i pianti dirompenti della ragazza, che inarcava la schiena e tremava. Ma in seguito un senso di eccitazione e di sadismo prevalse sulla premura e sulla pietà, accresciuto dai gemiti soffocati ed acuti che quel corpo, nudo e arrossato, emetteva. Iniziò così a masturbarsi, fino a quando la padrona lo persuase, con mille lusinghe, a procedere lui nella punizione.

Prese a colpirla sempre più forte: gli sovvennero alla mente le numerose volte che, da ragazzino, era stato respinto, tutte le volte che, durante le lezioni, si fissava a guardarla e non veniva ricambiato neanche da un’occhiata sfuggente, tutte le volte che aveva sognato di toglierle le scarpe e leccarle i piedini. Preso dalla foga, le frustava ora la schiena, poi le natiche, le cosce, fino ai polpacci, la schiaffeggiava sulle chiappe, sulla fighetta bagnata. Quando tali visioni si dissolsero, si accorse che le gambe della ragazza, esausta, avevano ceduto, e ora era sospesa , legata solo sui polsi. Un senso di colpa e di pena pervase il ragazzo, che, cinta Alessandra sui fianchi, iniziò a stringerla a se e a sussurrarle all’orecchio: “Scusami, ti prego, piccola, non volevo, perdonami. Tolse il bavaglio, le liberò le mani: come risposta ricevette uno schiaffo forte e deciso:

“Ti odio, bastardo, VI ODIO TUTTI E DUE!” urlò furiosamente, singhiozzando, scappando nella sua camera. Un impeto emotivo che sarebbe durato poco: infatti, dopo qualche ora, era di nuovo ai loro piedi.

Aliai

Il fumo dell’incenso saliva verso il soffitto, mescolandosi al vapore dell’acqua. Aliai si abbandonava a quella sensazione di calore, di leggerezza, a quel profumo inebriante. Guardava il suo corpo, quelle gambe lucide di ragazza appena diciottenne, i piedini che delicatamente emergevano da un manto di schiuma.

L’ambiente era appena rischiarato dalle candele. Fra le coccole che l’acqua donava alla sua schiena, e il senso di libertà e languore, Aliai batté le mani. Nella semioscurità, accorse Federico, nudo, a quattro zampe, porgendole un bicchiere di aranciata: lo bevve, e schiaffeggiò il ragazzo.

Lo stava fissando: un sorriso misto di diletto e cinismo, di onnipotenza e beffa, si accennava su quelle labbra delicate, contornate da lineamenti dolci, da un viso armonioso e tenero nel complesso, nonostante la dentatura appena fuoriuscente. Le uscì una risatina sguaiata.

Poi, col dito, fece cenno al ragazzo di alzarsi: si rivelò un corpo atletico, magro, tremolante dal freddo, col pene turgido, che emergeva da una selva di peluria. La mano della ragazza, dalle dita affusolate e dalle unghie tinte di rosa, afferrò lo scroto, stringendo forte. Federico si inginocchiò, fra spasmi e fitte di dolore, divincolandosi ed emettendo un gemito di supplica.

Aliai rideva, sempre più divertita: godeva, nel vedere quel ragazzo alla sua completa mercè e disposizione, nel realizzare che quel corpo, che era stato il sogno della sua adolescenza, era ora alla stregua di un giocattolo. Quando lo liberò dalla morsa, lo schiaffeggiò, sempre più eccitata.

“Leccami i piedi!” disse, perentoria.

Federico timidamente si approssimò al bordo della vasca. Iniziò a leccare quella bellezza della natura, partendo dal bordo del tallone, scivolando verso il mignolo, per poi proseguire con dei colpetti di lingua sotto le dita: quel delicato solletico faceva impazzire la ragazza, che rilassò di colpo i polpacci e le caviglie.

Federico suggeva con una soavità quasi femminile le dita una ad una, percorrendo ogni singolo centimetro di quella liscia pelle, di quelle unghie calde e levigate. Improvvisamente, la ragazza sollevò il piede, per poi sferrare un calcio al viso del ragazzo. Indietreggiò violentemente, sentendo una vampata infuocata percorrergli il volto, un vertigine disorientarlo: gli uscì il sangue dal naso.

Lei rideva di pancia, le mancava quasi il fiato: “Ahahahahah, forza! Che fai? Continua, stupido! Ahahahah”.

Continuò, con la testa che gli ronzava. Gli arrivarono altri due o tre calci, più lievi. Mentre leccava un piede, veniva colpito ininterrottamente con l’altro, e cercava di incassare i colpi senza cedere. Poi la ragazza gli imprigionò la testa con un piede dietro la nuca, e con l’altro iniziò a penetrare la sua bocca: il ragazzo iniziò ad emettere un mugolio affannato allo stesso ritmo del piede, che scompariva e riemergeva rapidamente dalla sua bocca.

Ora era prostrato sul tappetino, aspettando che la sua Venere emergesse dalle acque. Aliai sentì un brivido percorrerle la schiena: il suo corpo era percorso da ondate di vapore e di incenso caldo. Appoggiò i suoi piedi bagnati sulla schiena del ragazzo, fredda e contratta. Se li asciugò sui suoi capelli, poi gli diede uno schiaffo con il piede destro.

Federico iniziò ad asciugarla: sentiva le sue sinuosità scorrere sotto le sue mani, poteva ammirare quel corpo sodo, palpitante di libidine. I capelli, poi le spalle, i piccoli seni inturgiditi, le natiche, le cosce, fino ai piedi, che baciò delicatamente. Il suo pene era un fiume in piena, prossimo allo straripamento.

Aliai si abbandonò al calore delicato dell’asciugamano, che percorreva il suo corpo. Iniziò ad eccitarsi. Quella pace venne turbata dalla voglia di possedere il suo schiavo. Guardò il suo pene in erezione, lo schiaffeggiò violentemente. Poi gli diede una rapida e decisa ginocchiata sui testicoli. Lo vide accasciarsi ai suoi piedi, affannarsi. Iniziò a ridere, come posseduta da una forza irrefrenabile: quella della sua vanità e della sua arroganza. Come segno di vittoria, poggiò il piede sulla testa del ragazzo, schiacciandola.

Federico si sentiva ardere dentro: in preda al dolore, non riusciva a respirare. Scottava la sconfitta, la sopraffazione da parte di quella ragazza che aveva sempre guardato dall’alto in basso. Ma il suo orgoglio maschile nulla poteva contro l’eccitazione che da quella condizione gli derivava: sentirsi sotto il completo potere di una femmina.

“Che deficiente che sei! Idiota! Ihihihihihi! Che volevi fare con quel cosino, eh? Adesso ho capito perché Alysia ti abbia mollato! Ahahahahahah! Sei buono soltanto a leccare i piedi!”

Lo condusse ai piani inferiori: qui, una stanza, arredata in stile etnico. E una frusta per cavalli. Intorno, nessuno, loro due soltanto. Alla vista di quell’arnese, il ragazzo fu colto da terrore e scosso da tremiti: avrebbe voluto piangere, gettarsi ai piedi della sua carnefice e supplicarla. La ragazza colse nel suo sguardo il suo imploro, rispondendo con un sorrisino beffardo e carezzandolo in maniera provocatoria.

Era legato, sospeso. Le sferzate lo colpivano sulla schiena, sulla nuca, sulle chiappe. Ad ogni colpo, un grido di dolore intenso, uno spasmo, un segno sanguigno. Grida sempre più forti, disperate. Singhiozzi, pianti, suppliche spezzate da frustate violente. Aliai era sempre più concitata, la foga alimentata da ogni singolo tremito, ogni urlo, ogni contrazione. Sembrava una pizia invasata. Ogni goccia di sangue che rigava la schiena martoriata della sua vittima. Rideva sadicamente, frustava con sempre più veemenza.

Le gambe del povero ragazzo avevano ceduto, singhiozzava come un bambino. Aliai si stancò, gettando a terra la frusta: il suo rumore fece soprassalire Federico, atterrito. Si avvicinò, appoggiò sensualmente le sue mani sulle spalle, ed iniziò a graffiarlo, provocando un urlo disperato. Lo accarezzò sulla testa. Si appoggiò, esausta, a lui. Mordicchiandogli l’orecchio, gli sussurrò:

“Povero tesoro ihihihihi. Ormai sei mio! Non potrai pensare ad altre ragazze. Esisterò soltanto io nella tua vita, nelle tue fantasie. Scordati tutte quelle che te l’hanno data. Scordati Francesca, Alysia, Daniela! Questa sera mi scopo Alessandro, mmmm non trovi che sia proprio un gran picchio? Mmmmm…”

Lo stava percorrendo, con le sue mani soffici, facendolo decontrarre pian piano. La rabbia che le parole di lei suscitavano si trasformava in una eccitazione dirompente. Quella voce calda riecheggiava nella sua testa confusa, solleticava la sua libido. Sentiva i capelli di lei carezzargli il collo, le spalle, fino ai pettorali.

“….mmmmm! Mi raccomando, stasera, mentre sistemi la mia camera, pensa alla tua padrona che gode come una troia, mentre si scopa Alessandro. Ahahahaha…. Mmmm…”

Si stava masturbando. Poi fece succhiare il dito a Federico, allo strenuo delle forze. Lo liberò. E lui si accasciò a terra. Lo salutò con un calcio. “Ciao ciao tesoro ihihihihihi!”.

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