Domiziana – parte IV

Piedi

Le ragazze dopo l’ultima sera avevano preso gusto nel giocare a dominare il povero ragazzo, che, dal canto suo, nonostante l’imbarazzo e l’umiliazione che aveva provato non poteva fare a meno di degradarsi dinnanzi alle sue carnefici. Il fatto che ad imporgli tutto ciò era la sua Dea Domiziana rendeva il gioco ancora più eccitante.

Così chiesero a Domiziana di portare più spesso il suo cagnolino alle loro cene.

Non passò molto prima che ne organizzassero un’altra, questa volta a casa di Carolina. Questa volta erano in tre le ragazze, dato che Federica era fuori con il ragazzo Diego. Tutte e tre le commensali arrivarono un’ora prima della cena. Quando arrivò Domiziana con il suo schiavetto, questo venne fatto inginocchiare sullo zerbino e gli vennero fatte alzare le braccia tre volte in segno di adorazione delle padrone. Poi le tre si fecero baciare la mano. “In cucina!”, disse perentoria Carolina; il ragazzo si alzò di scatto, e si diresse rapido in cucina, beccandosi un calcio nel sedere dalla padrona di casa.

Appena entrato, il cuore gli iniziò a battere quando vide che tutte e tre le sue carnefici lo circondavano col sorriso beffardo. Gli venne fatto indossare il grembiule e la parrucca. “Bello!”, lo sbeffeggiò carolina, con dei buffetti sulla guangia; nel sentirle ridere, sentì il calore salirgli al viso, e la pressione sanguigna aumentare, provocandogli un’erezione. Domiziana se ne accorse, e col suo sguardo implacabile lo annientò, dandogli poi una ginocchiata sui testicoli che lo fece piegare: “Schifoso!”

Quando si riebbe, Carolina con uno schiocco di dita gli indicò il pavimento, facendolo inginocchiare. “Bacia il pavimento!”, gli disse. Contrariato, la guardò con aria supplichevole, come a chiedere se avesse dovuto farlo veramente. “Hai sentito quello che ho detto, o sei sordo?”, disse lei, quasi alterata: nello stesso tempo, Domiziana si avvicinò di scatto e gli diede un calcio nel sedere, mentre lui iniziò, seppur riluttante, a baciare le mattonelle. Carolina gli mise la scarpa sulla nuca, e lo schiacciò col naso per terra; poi, fece un gesto vittorioso con le braccia, che fece ridacchiare le due amiche. Lui continuava, col poco margine di manovra che il piede della dominatrice gli lasciava, a baciare il pavimento. Quando venne liberato, le tre decisero di fare un giochetto: avrebbero passeggiato per la stanza, e il loro cagnolino, a quattro zampe, avrebbe dovuto baciare il pavimento dove camminavano. A turno, ciascuna delle ragazze lo costringeva a seguirla goffamente a quattro zampe, spronandolo battendo le mani: “Forza! Più veloce cagnolino! Ihihihi!” Se non riusciva a stare al passo e a baciare dove camminavano, si beccava un ceffone o una zampata. Le altre due guardavano divertire, appoggiate al termosifone. La più spietata, sia con gli insulti che con le percosse, fu ovviamente Domiziana, col cinismo che la contraddistingueva e con la consapevolezza di avere il dominio assoluto sulla mente e sul corpo del suo schiavo. Roberta ci andava più leggera, ma si calava bene nella parte.

Quando questo gioco finì, le ginocchia del ragazzo erano doloranti, le guance infuocate e la testa gli ronzava per gli schiaffi ricevuti. Per farlo “riprendere”, Carolina gli porse i suoi piedi, che calzavano delle scarpe sportive bianche, e se li fece leccare. “Lecca bene, cagnolino! Uh, ma come sei bravo! Allora qualcosa sai fare! Ihihihi”

“Tieni, assaggia le mie!”, disse Roberta dai capelli rossi. Le scarpe di Roberta erano più sporche rispetto a quelle di Carolina. “Facci vedere la lingua!”, gli disse lei. Tirò fuori la lingua, tutta annerita e impolverata, che fece scoppiare grasse risate.

Piedi Paola

Quando si fece ora di cena, il ragazzo fu mandato a ritirare la pizza, che dovette pagare di tasca propria. Poi, al ritorno, dovette apparecchiare la tavola, mentre le sue padroncine stavano sul divano a guardare la TV. Non lo degnavano di considerazione, salvo chiedergli di tanto in tanto se avesse finito, che avevano fame. “Ma quanto cazzo ci metti? Ti muovi? Se non ti sbrighi ti facciamo vedere noi!” lo minacciavano, sghignazzando.

La cena si svolse sulla falsariga della precedente, senza niente di eccezionale. Il povero ragazzo, oltre a dover servire la cena, si dovette sorbire una buona dose di umiliazioni verbali, schiaffi, sputi e calci. Per farlo bere, le ragazze gli avevano riservato una bacinella piena di acqua, nella quale si erano divertite a sciacquare dei calzini ripescati dal cesto dei panni sporchi. Da mangiare, gli diedero dei pezzi di pizza che calpestarono accuratamente a turno: ovviamente dopo averli mangiati lo schiavetto dovette pulire il pavimento con la lingua. Appena finito di cenare, le tre ragazze decisero di guardarsi un DVD: si tolsero le scarpe, e si spaparazzarono sul divano. davanti al divano c’era un poggiapiedi, ma Domiziana ebbe la fantastica idea di usare il suo schiavo a tale scopo. Così vennef atto mettere a quatro zampe, e le tre vi appoggiarono i piedi. Passarono tre quarti d’ora, durante i quali, oltre allo sforzo titanico di mantenere quella scomoda posizione, lo schiavetto si beccò qualche pedata e insulti sulla sua scarsa virilità. Di tanto in tanto poi Carolina si divertiva a mettergli i piedi in faccia, ordinandogli di annusare: “Puzzano vero? Ahahaha”. Allora alle tre venne in mente un altro giochino: il ragazzo era stato bendato, quindi le ragazze gli facevano annusare i piedi a turno e lui, posizionato davanti al poggiapiedi, doveva indovinare di chi fossero. Domiziana indossava un paio di calzini rosa, mentre Roberta aveva dei gambaletti semistrasparenti. Carolina portava dei classici calzini bianchi, la cui suola era diventata nera a forza di camminare scalza per la casa durante la cena. Ogni volta che il ragazzo sbagliava, gli arrivava una serie di schiaffi dalla proprietaria del piede. Alla fine però gli odori dei diversi calzini gli si erano talmente impressi nel cervello che indovinava sempre a chi appartenessero. Come “premio” finale, Carolina se li tolse e glieli infilò in bocca. Quando gli fu tolta la benda, si trovò di fronte alla visione celestiale dei piedi nudi di Carolina: taglia 39, dita affusolate, di un candore fuori dal comune. L’odore vivo della pelle di quei piedi, assai più dolce di quello dei calzini, gli inebriò le narici, accendendogli dentro una forza vitale e una eccitazione che il duro lavoro di quella sera in parte aveva smorzato. Carolina se ne accorse, e si divertì ad avvicinarglieli alla faccia, sventolandoglieli a pochi centimetri dal naso. Avrebbe voluto leccarli, ma non gli fu permesso subito. “Ti piacerebbe leccarli, eh? Sono troppo puliti per quella fogna di bocca che ti ritrovi! Che dite voi? Lo accontentiamo?” – “Ma si, dai. Stasera è stato bravo!”, rispose Roberta. Domiziana rimase indifferente. Allora Carolina iniziò a passeggiare scalza per la casa, ordinando allo schiavo di seguirla a quattro zampe. Ogni tanto si fermava e si faceva baciare il piede: passò in bagno, nelle camere da letto, in cucina e infine ritornò in salotto. Si guardò un piede e disse: “Bene, adesso si! Vieni schiavetto!” Le piante dei piedi erano ora impolverate: “Lecca!”, disse Carolina. Lui obbedì, iniziando a leccare delicatamente la pianta del piede destro, dal tallone fino alle dita. Succhiò le dita uno ad uno, mentre la ragazza le muoveva ogni tanto. Passò all’altro piede, ripetendo il servizio. Le altre due ragazze alternavano espressioni di disgusto a sorrisini di derisione, ma in fondo quella situazione le intrigava. Leccò fino a quando le piante non tornarono abbastanza pulite. “Bravo piccino!”, disse, sfottendolo. Ma la serata non era ancora finita.

Domiziana – parte III

Piedi

Il suo entusiasmo durò poco, e il suo morale scese rapidamente sotto le scarpe: ma non potè fare a meno di obbedire alla richiesta della sua padrona. E passarono nonostante ciò diverse settimane prima che lei si rifacesse viva. Lo chiamò dicendogli che stava organizzando una cena a casa sua, con le sue amiche, e che lui le avrebbe dovute servire.

Il giorno decisivo, si ritrovò a casa della sua padrona assieme alle amiche di lei: Roberta, Carolina e Federica. Era stato preventivamente mandato a comprare la pizza, che naturalmente dovette pagare lui.

Appena arrivato, Domiziana lo aveva accolto schiaffeggiandolo sonoramente, per ricordargli chi comandava. Poi per umiliarlo le quattro gli avevano fatto indossare un grembiulino: la loro malsana idea di fargli indossare anche le scarpe coi tacchi per fortuna fallì, dato che non gli entravano. Nemmeno quelle di Carolina, che pure portava un 39 abbondante ed era la più alta delle quattro.

Per tutto il resto della serata, dovette adempiere al compito che la mente diabolica della sua padrona aveva concepito: fare da servo a quattro ragazzine in vena di divertirsi e di umiliarlo. Per questo era anche un pò timoroso, in quanto, pur essendo eccitato all’idea di essere un giocattolo nelle mani di una padrona, tuttavia nutriva dei dubbi sulle intenzioni di lei e sul fatto che questa non aveva un briciolo di premura nei suoi confronti, anche a causa della sua immaturità. Ma ormai era alla loro completa mercè.

All’inizio, servì le padrone beccandosi “soltanto” una buona dose di ceffoni e insulti, il tutto fra le risate generali. Ogni volta doveva stare in ginocchio a guardare le ragazze dal basso mentre mangiavano, fino a quando non gli ordinavano di portare altra roba. Con le ginocchia doloranti l’impresa diventava sempre più ardua. “Muoviti, imbecille!”, tuonava la voce di Domiziana: “Sei proprio un idiota!”, diceva, schiaffeggiandolo, mentre le altre tre se la ridevano. Una cosa che lo mandava letteralmente in estasi era quando la sua padrona lo afferrava per la maglietta, tirandolo a sè, e lo fissava negli occhi, con uno sguardo fermo, magnetico, penetrante: quegli occhioni da cerbiatta, che, nonostante lo sguardo irato, non riuscivano a nascondere una certa dolcezza. A rompere questa estasi paradisiaca, le voci squillanti delle altre, che iniziavano per dispetto a impartirgli ordini tutte e tre insieme, e lo schiaffeggiavano nel momento in cui non riusciva ad esaudirli. Per umiliarlo, ogni tanto gli tiravano addosso bevande, o lo colpivano con le bottiglie di plastica vuote. Se provava a difendersi dai colpi, infierivano ancora di più. Non serviva a niente implorare pietà. La più tranquilla della comitiva sembrava essere Roberta: molto composta e contenuta, anche se aveva quell’aria da furbetta che bastava a umiliare. Fu proprio Roberta a proporre di truccare il povero ragazzo, che venne portato in bagno, a metà della cena, e conciato per bene: “Guarda che faccia da pompinara che hai! Tanto abbiamo capito che sei frocio.”. Ovviamente il tutto veniva fotografato coi telefonini. Continuò ad essere degradato, fra risatine varie e sputi in faccia, per il resto della serata. Man mano che le ragazze bevevano, il loro ritegno andava scemando: avevano iniziato a spalmare del cibo sulla faccia dello sventurato, al quale venne anche ordinato di mangiare dal pavimento, dopo che le perfide padrone lo avevano calpestato. Federica si divertiva a farglielo leccare direttamente dalla suola delle sue scarpe.

Roberta aveva un bel paio di stivali rosa, e più volte aveva minacciato di farli “assaggiare” allo schiavo, puntandoli sui suoi testicoli. Carolina nel frattempo aveva preso a schiaffeggiarlo selvaggiamente, ridendo come una forsennata; Federica, dal canto suo, volle movimentare un pò la serata proponendo alle compagne, a giro, di prenderlo a calci sui testicoli. Di fronte a questa proposta, il ragazzo iniziò a tremare e a implorare, ma Carolina, accarezzandolo in testa, abbozzò una falsa dolcezza che aveva il sapore più autentico della presa per il culo: “Tranquillo, lo sai che le tue padrone ti vogliono bene, vero ragazze?” – “Oh, ma si! Ahahahah!”. “Forza, alzai e allarga le gambe”, disse Domiziana. “Vi prego, questo no! Vi supplico …” disse lui, con la voce che quasi tremava.

Piedi Silvia

Carolina gli si mise dietro, tenendogli le mani ferme, mentre Federica, la promotrice dell’iniziativa, tirò un calcio fra le gambe del ragazzo, che cacciò un urlo e si accasciò a terra. Mentre era rannicchiato, Domiziana gli ordinò perentoriamente di rialzarsi, ma dato che stentava, iniziò a prenderlo a calci sulla schiena. “Alzati, ho detto, o sarà peggio per te!”: disse, tirandogli i capelli. Quando si rialzò, Carolina lo “aiutò” a rimettersi in posizione, puntandogli un ginocchio sulla schiena e tirandogli le braccia in dietro. Roberta, per sua fortuna, ci andò leggera, con la sua solita delicatezza, quasi solo appoggiando il dorso dello stivale sulle palle dello schiavo, che comunque sobbalzò dallo spavento. “Roby, ma che fai, dagli giù più forte, dai! Ti fà per caso pena questo deficiente?”, la spronò Domiziana. Così Roberta lo colpì più forte, tanto che questo si dimenò al punto da liberarsi dalla presa di Carolina, gettandosi di nuovo a terra, piagniucolante. Venne rimesso in piedi, e Domiziana gli diede una ginocchiata che non gli lasciò scampo. Dolorante, piagniucolante e implorante, sul pavimento, iniziò a fare tenerezza alle quattro, tanto che Carolina, alla quale sarebbe spettato il turno, mettendogli la scarpa sulla guancia disse che poteva bastare. “Dai, sennò lo ammazziamo!”, poi, rivolta al ragazzo, “vedi che ti vogliamo bene? Dovresti ringraziarmi! Baciami il piede!”, Il ragazzo baciò più volte la scarpa a Carolina, e con voce tremolante la ringraziò: “Grazie padrona, grazie!”. La stessa cosa fece con le altre, che gli porsero i piedi una dopo l’altra.

Per completare l’opera, venne schiaffeggiato ancora un pò: ogni volta che una delle ragazze anche solo alzava una mano, per istinto lui si riparava la faccia, tremando: a tal punto lo avevano conciato.

Poi gli fu permesso di andare in bagno a riprendere fiato. A questo punto, il gioco poteva dirsi concluso, e ci fu tempo per un pò di social time, durante il quale le tre ragazze, eccetto Domiziana, gli dissero che era stato bravo e lo ricompensarono baciandolo sulle guance. La sua padrona invece era fredda e distaccata come al suo solito. Chissà la prossima volta cosa gli sarebbe toccato fare.

Possesso – parte III

Piedi MM 01

Federica comunicò al suo schiavo che di lì a poco avrebbe dovuto seguirla assieme al suo ragazzo in una vacanza al mare di una settimana. Ovviamente sarebbe stato a sua completa disposizione per tutto il tempo. Dopo una prima fase di sgomento, Matteo accettò, non conscio di ciò che lo avrebbe aspettato.

Avevano preso un appartamento non distante dalla spiaggia, e sin da subito al ragazzo erano state completamente affidate le mansioni domestiche: mentre la padroncina era a divertirsi in spiaggia con Diego, Matteo era costretto ad occuparsi delle pulizie, di cucinare, fare la spesa, lavare i panni, oltre che ad avere una speciale cura per le scarpe della sua padrona. Ogni volta che tornavano dalla spiaggia, finalmente poteva occuparsi di lei, del suo corpo e soprattutto dei suoi piedini.

Benchè inizialmente Diego fosse infastidito della presenza di Matteo, in seguito si abituò all’idea che la sua ragazza avesse uno schiavo personale. Lui non interferiva mai nei rapporti fra i due, e al massimo si divertiva a schernire il povero Matteo, che non poteva far altro che subire: ciò faceva divertire anche Federica, che assieme al suo ragazzo lo vessava ed umiliava verbalmente. Oltre tutto Federica era solita schiaffeggiare e prendere a calci lo schiavo, spesso per puro divertimento.

Già dopo il primo giorno, a Matteo fu ordinato di stare nudo in casa e di camminare a quattro zampe, e , per aumentare ulteriormente l’umiliazione, quando la padrona era in casa gli applicava un guinzaglio.

Una umiliazione particolarmente cocente per lo schiavo fu quella di dovere sistematicamente togliere la sabbia dai piedi della sua padrona ogni volta che rientrava dalla spiaggia: all’inizio, causa l’evidente difficoltà manifestata dal povero ragazzo, la padrona gli concesse di non ingoiare la sabbia, ma di potersi sciacquare la bocca dentro una bacinella deposta ai suoi piedi; ma in seguito dovette imparare ad ingoiare la sabbia. “Pulisci bene, tesoro, forza, ihihihi”, diceva, agitando le dita dei piedini: “Dai, che questo è il tuo pranzo, ahahahah”, diceva, mentre lo schiavo assaporava il gusto di quei bellissimi piedi bruniti dal sole, che sapevano di salsedine, crema, con un retrogusto amarognolo, e che emanavano un piacevole calore. Poi Federica sollevava la suola del piede e controllava che fosse ben pulita: se fosse rimasto anche un granello di sabbia, lo avrebbe colpito con uno schiaffo. Un giorno arrivò un ordine che lasciò Mateo perplesso e contrariato: “Bravo cicci, ora lecca anche le sue scarpe!”, disse Federica, indicando le ciabatte di Diego; vinta la sua riluttanza con un ceffone sulla bocca, lo schiavo si accinse a leccarle, mentre Diego rideva, lo copriva di vessazioni e, incitato dalla sua ragazza, lo colpiva con dei calci: “Colpiscilo sulle palle, ahahaha”, e così fu, mentre il ragazzo mugolava dal dolore, cercando di continuare a leccare le scarpe.

I primi giorni Diego era rimasto passivo, ma ora si era fatto trascinare da Federica nei suoi giochi perversi. D’altra parte, Matteo si riempiva di tristezza e frustrazione quando, nello svolgere i suoi compiti, i due amoreggiavano sul divano; Federica l’aveva notato, e per accrescere la sofferenza dello schiavetto talvolta gli ordinava di accucciarsi ai loro piedi e di osservarli mentre si baciavano (e mentre lo colpiva con dei calcetti o lo provocava con delle carezze). Ogni tanto Diego era vinto dalla gelosia (soprattutto quando la padrona ordinava allo schiavo di massaggiarla sui glutei o sulle parti intime) e colpiva Matteo con pugni e calci, che doveva ricevere senza nemmeno difendersi, mentre Federica osservava divertita e rideva, almeno fin quando Diego non avesse esagerato, in qual caso lo avrebbe fatto calmare. Anche perché, essendo Matteo sempre nudo, ogni sua eccitazione era sotto gli occhi sia di Federica che di Diego.

La schiavitù verso la bella Federica diventava ogni giorno più difficile da portare avanti. Quando i due facevano sesso, Matteo poteva facilmente udire, dalla camera accanto, i mugolii di piacere della sua padrona e la foga da cui si faceva prendere il ragazzo. Alla fine Federica riuscì a convincere Diego ad assecondarla nelle degradazioni che avrebbe inflitto nei giorni successivi al suo schiavetto: dopo tutto, nessuno dei due aveva pudore nel fare qualsivoglia azione davanti agli occhi dello schiavo, ormai ridotto alla stregua di un animale domestico. Così Federica iniziò col masturbare Diego davanti agli occhi di Matteo, che doveva assistere accucciato a poca distanza da quel membro grosso e pulsante: “Mmmm, guarda che bel cazzo che ha il mio amore, altro che quel cosino là in mezzo”, disse Fede, premendo col piede sui testicoli dello schiavo. “Ti piacerebbe che lo facessi anche a te, vero? Guarda che belle manine che ho, ihihihi…”, diceva, mentre Diego emette va dei gemiti di piacere sempre più forti per far arrovellare ulteriormente lo schiavo. Quando Federica capì che il ragazzo stava per venire, prese la testa dello schiavo e la avvicinò di forza al suo pene, mentre lui cercava con tutte le forze di allontanarsi e implorava pietà. Diego venne copiosamente sul viso dello schiavo, che serrò d’istinto la bocca e gli occhi, mentre la ragazza scoppiò in una fragorosa risata: “Guarda che schifoso, si eccita anche con questo! Che lurido verme..”, disse Diego, quasi disgustato, allontanandolo con il piede. Poi Federica raccolse lo sperma con la mano, e costrinse lo schiavo, riluttante, ad ingoiarlo: “Dai tesoro, non fare i complimenti, lecca, avanti! AVANTI!”, urlò la padrona, colpendolo con un ceffone. Diego, sempre più disgustato, si rivolse alla ragazza: “Dai amore, ti prego, ma che schifo!”, al che lei rispose con una risata e uno sguardo ammiccante: morale della favola, lo schiavo fu costretto ad ingoiare lo sperma dal sapore acre e salato del ragazzo. Poi Federica gli sussurrò all’orecchio: “Abituati tesoro, ti farò diventare una vera troia, ahahahah”.

 

Il resto della serata lo trascorsero a guardare la tv sul divano, con i piedi poggiati su un basso tavolino, con a poca distanza la faccia dello schiavo, costretto a stare immobile ad annusare le estremità dei suoi padroni. Di tanto in tanto riceveva calci da entrambi, che si divertivano a schernirlo: “Beccati tutta la puzza! Senti che profumino? Annusa più forte, ahahahaha”. Passò così più di un’ora. Poi i due si recarono in camera da letto, e stavolta dovette seguirli anche Matteo, che fu fatto inginocchiare al lato del letto. Dopo essersi spogliati, lei mise a Diego il preservativo, si mise a gambe divaricate e lui iniziò a penetrarla furiosamente. Dovette assistere impassibile al rapporto sessuale, mentre il ragazzo si rivolgeva lui dicendo: “Guarda come me la sbatto, tu col cazzo che la vedrai mai…”. Quando il rapporto terminò e i due erano esausti, continuarono a coccolarsi per un po’, finchè alla fine lei tolse il preservativo dal membro del suo compagno, e, assunta un’aria beffarda, guardò Matteo (che già temeva per la sua triste sorte), si avvicinò a lui carponi e fece dondolare il preservativo davanti alla sua faccia: “Guarda che bello! Adesso te lo faccio assaggiare anche a te, guarda come sono gentile, ihihihi”, disse, infilando il preservativo nella sua bocca: “senti il sapore della mia fichetta, tesoro, ti piace, eh, succhia bene tutto!”, disse, mentre lo schiavo leccava avidamente gli umori della pardoncina depositati sul profilattico, “succhia troia, dai, più forte!”; alla fine Federica rigirò il profilattico, lo spremette nella bocca spalancata di Matteo, che ricevette una colata di sperma denso e maleodorante. Ebbe conati di vomito, ma alla fine inghiottì con uno sforzo estremo: “Buono, non è vero? Che sapore ha, tesoro?”, “Buono, padrona”, disse disperato, mentre lei rideva divertita.

Altre innumerevoli volte nel corso della vacanza dovette ingoiare lo sperma frutto del piacere dei due: delle volte Federica, dopo aver praticato fellatio al proprio compagno, sputava lo sperma succhiato, direttamente nella bocca dello schiavo. Un’altra volta eseguì un footjob a Diego e, dopo che questi aveva inondato del suo sperma i delicati e splendidi piedini, costrinse lo schiavo a ripulirli, dal dorso fino alle suole. L’umiliazione raggiunse le stelle quando, dopo aver praticato un rapporto sessuale con Diego, Federica si fece ripulire la passera e l’ano colanti di sperma. Matteo sentiva che quanto più l’umiliazione e la vergogna crescevano, tanto più aumentava la sua eccitazione: non avrebbe potuto più fare a meno di servire la sua padrona, qualsiasi cosa essa avrebbe voluto. Era un oggetto nelle sue mani.

Possesso – parte II

Sentì il portone aprirsi, poi lo scalpitio dei tacchi della sua padrona che saliva le scale; con affanno e timore si recò davanti al portone, si lo aprì e si accucciò in attesa. Lo splendido profilo della sua padroncina si stagliava contro la luce dell’atrio, il suo inconfondibile e forte profumo pervase le narici di Matteo. Lei fece alcuni passi, poi, con un calcetto assestato sul petto del ragazzo, lo fece scostare. “Ciao tesoro”, bisbigliò, per non svegliare la madre, e poi scoppiò a ridere. Dal modo in cui camminava e apriva le varie porte non sembrava essere totalmente sobria; era reduce da una serata in discoteca con il ragazzo, ed era quantomeno frastornata. Entrò in camera, seguita a quattro zampe dal suo schiavetto, il quale aspettava l’inesorabile verdetto sul lavoro svolto.

Accese la luce, si sedette sul letto, si spostò indietro i capelli (mossi e scomposti) ed iniziò a fissare il ragazzo, ancora sulla porta a quattro zampe, con occhi socchiusi e un beffardo sorriso accennato. Sospirò, fece per slacciarsi la slip dello stivale destro, ma poi disse lui, con tono di voce alterato: “Beh, cosa fai lì imbambolato? Coglione, vieni a togliermi gli stivali”. Detto ciò il ragazzo corse ai suoi piedi: sentì un forte odore di cuoio e sudore che si mescevano al profumo (gli sembrò anche di riconoscere il sottile e nauseante odore dello sperma). Lei iniziò a dargli degli scappellotti non troppo forti sulle guance e sulla testa, ridendo a tratti e singhiozzi, intervallati da incitazioni: “Dai”, “Forza!”, “Più forte!”; quando il ragazzo fu sul punto di sfilarle uno stivale, gli arrivò un calcio deciso e intenso sotto la mascella, che lo fece traballare. Fu un’impresa ardua riuscire a sfilare lo stivale fra schiaffi e calci, ma alla fine vi riuscì: una vampata del forte odore di nylon e di sudore arrivò improvvisa, provocando un’ondata di calore e di eccitazione nel ragazzo.”Bacia!”, comandò: non se lo fece ripetere due volte e, mentre baciava il suo piedino caldo e odoroso, si beccò un altro calcio seguito dalle risate sgraziate e sgolate della ragazza. Iniziò a stuzzicarlo con il tacco dell’altro stivale, che finì col calpestare in maniera brutale la mano del povero Matteo, il quale cercò di reprimere il grido dell’intenso dolore inflittogli, mentre lei roteava e premeva il piede.

Quando entrambi gli stivali furono tolti, Federica si alzò e si diresse verso la finestra, ai lati della quale giacevano tutte le sue scarpe ordinate. La vista di quei piedi che camminavano sul pavimento inarcandosi lo riempirono di eccitazione, interrotta soltanto dalla paura: ovunque passava, lasciava le impronte umide dei suoi piedi sul parquet, che svanivano poco dopo. “Oh, ma che bravo”, disse, facendole cadere con un calcio e ridendo: assistendo alla breve distruzione del suo lavoro, il ragazzo venne invaso da un istinto di rabbia, che a stento represse, seguito prontamente da una intensa eccitazione. Poi iniziò a tirargli scarpe in faccia, ridendo ogni volta di pancia, ordinando gli di riportarle, come un cane, con la bocca. E infine accadde l’inevitabile.

La padroncina prese una decolté nera, vide che non era pulita e la annusò. “Che puzza!”, disse. Il ragazzo non fece nemmeno in tempo a vedere la sua reazione, che subito si ritrovò la ragazza addosso, che lo picchiava con una violenza inaudita e quasi scimmiesca: “CHE E’ QUESTA PUZZA, EH?”, ed arrivarono sulla testa dello schiavo diverse serie di schiaffi forti, rapidi e frequenti, “ COGLIONE”, e una sberla,” IDIOTA”, e un manrovescio assestato con decisione sull’occhio destro, “ FROCIO DI MERDA”, e un calcio sulla schiena che lo face cadere in terra. Iniziò a calciarlo e calpestarlo con durezza, mentre si era chiuso a riccio per difendersi, ansimante. Lo girò su un fianco ed iniziò a colpirlo con le sue magnifiche gambe all’altezza dello stomaco: respirava a stento e aveva la testa che ronzava per i colpi ricevuti. Lo tirò per i capelli, continuò a schiaffeggiarlo e provocò la fuoriuscita di sangue quando lo colpì sul naso con una forza incontrollata; iniziò a colpirlo anche con delle scarpe: “COGLIONE, FROCIO, BUONO A NULLA, MERDA UMANA!”. Poi lo costrinse ad alzarsi e gli diede un calcio sui testicoli, che lo fece accasciare sul pavimento. Fra i lamenti implorava pietà, che sapeva non sarebbe arrivata. Diverse volte fu fatto rialzare e preso a calci sui testicoli, non riusciva più a respirare per il forte dolore, e per le fitte che lo attanagliavano. Alla fine iniziò a piagnucolare: “Padrona, perdono, basta, pietà”. Alla fine anche Federica si accucciò a terra esausta, ed iniziò a ridere come una forsennata. Lo schiavo dolorante dovette allora cercare di spogliarla e metterla a letto, ma non vi riuscì e, fra schiaffi ed insulti, Federica si mise a letto da sola. Lui si limitò a coprirla, poi tornò a casa, reggendosi a malapena in piedi e barcollando.

L’indomani, dolorante e con terribili fitte ai testicoli, si avviò a casa della padroncina, dove avrebbe dovuto rimettere ordine nel caos della serata precedente; aveva il timore di una nuova punizione, ed era pieno di imbarazzo e frustrazione. Quando Federica aprì la porta di casa, a lei si presentò un ragazzo esausto, spento, con un occhio gonfio e pieno di graffi ovunque, che si muoveva a scatti per i dolori. Ne provò pena, e improvvisamente si addolcì: “Piccolo, cosa ti ho fatto!”, disse con voce commiserevole accarezzandolo. Lui non ce la fece nemmeno ad inginocchiarsi ai suoi piedi, anche se avrebbe desiderato sopra ogni cosa baciarglieli. Continuò ad accarezzarlo, poi lo fece entrare in camera e sedere sul letto accanto a lei: nel rivedere la camera piena di scarpe, vestiti gettati all’aria e calze, sentì una vertigine che gli fece girare il capo. “Sono stata proprio cattiva ieri sera, scusami tesoro mio!”, disse, accarezzandolo ed eseguendo un dolce massaggio sulla schiena. Nella sua voce c’era un sincero pentimento, e questo fece emozionare anche il ragazzo. Lo portò in bagno, dove medicò le sue ferite e i vari graffi (lui non aveva avuto il tempo per farlo), nonostante egli si fosse inizialmente opposto: non amava essere “servito” dalla sua padroncina! Ad un tratto, mentre erano davanti allo specchio, lei reclinò dolcemente il capo sulla sua spalla: nel sentire i morbidi capelli di lei scendere sulla sua schiena, e le soffici e calde guance toccare la sua spalla, improvvisamente si decontrasse e si abbandonò a quel raro momento di tenerezza.

Li sorprese la madre, meravigliata, che prontamente Matteo salutò: lo guardò con occhio indagatore. Quando rimase da solo in bagno, sentì Martina rimproverare la figlia per averlo ridotto in quelle condizioni, per averla svegliata durante la notte e per essere tornata a casa in quello stato. “Si trattano così i tuoi amichetti?”, disse, mentre passava scalpitando sul corridoio: c’era un sottile velo di ironia in quella frase, visto che Matteo era un “amichetto” un po’ particolare.

Alla fine Federica chiese a Martina di riportare il poveraccio a casa in macchina: accettò, ma prima lo portò a fare la spesa con lei. Si sentì veramente in imbarazzo, per mostrarsi in quello stato davanti alla madre di lei, la quale ogni tanto lo guardava con i suoi splendidi occhi e lo interpellava con la sua voce calda e le sue labbra sensuali: “Piccolo, ti fa ancora male la schiena? L’ho detto a mia figlia che deve essere meno aggressiva!”, “No, Martina, non ti preoccupare, non è nulla…”. Nelle domande di Martina si intravedeva allo stesso tempo l’incomprensione per la sua condizione di schiavo, una fine derisione umiliante e anche una sottilissima soddisfazione che la sua vanità femminile provocava. Lui continuava a guardare come imbambolato le mani che dolcemente e scioltamente scivolavano sul cambio, ma l’eccitazione che inevitabilmente sorgeva veniva soffocata immediatamente dai dolori ai testicoli.

Si fermarono a fare la spesa: “Tesoro, tu puoi rimanere in macchina se vuoi!”, disse, sapendo che in questo modo la avrebbe senza esitazione accompagnata. Portò per lei il cestino, la seguì docilmente lungo gli scaffali assecondando ogni sua esigenza. I movimenti della donna, che forse aveva notato lo sguardo del ragazzo dietro di lei, si fecero volutamente più sensuali. Alla fine si offrì di pagare lui, al che la donna simulò un rifiuto di cortesia: “No, guarda che mi arrabbio, sono diverse volte che paghi tu”, si lasciò scappare una risatina e lo ringraziò: “Grazie, cucciolo!”. Quando lo lasciò a casa, al momento di salutarlo gli fece una sensuale carezza sulla spalla: quel gesto, unito all’intenso odore di pelle e di creme emanato dalla donna, di nuovo fece eccitare il giovane, ma le intense fitte di dolore di nuovo repressero quell’istinto. Lo salutò, con quello sguardo rilassato e quel sorrisino ironico con cui era solita fissarlo.

Se ne andò intenerito, emozionato e frustrato ad un tempo. Ancora non sapeva che la padrona aveva in serbo per lui una sorpresa molto piacevole.

Possesso

Federica era una bella ragazza di 18 anni; Matteo, un ragazzo di 21 anni, era stato sedotto dal suo corpo armonioso, dai suoi lunghi capelli corvini e dai suoi seni sodi e abbondanti al punto giusto, fino a perdere la testa per lei. Da subito era stato particolarmente servizievole nei suoi confronti, iniziando ad esaudire le sue richieste incondizionatamente, pur accorgendosi che le sue attenzioni non venivano ricambiate; infatti si era fidanzata con un ragazzo di 25 anni, Diego, senza che Matteo rinunciasse ad obbedirle ciecamente. La ragazza aveva così approfittato della situazione, e le richieste su Matteo erano diventate sempre più impertinenti e gravose: arrivava fino a farsi portare a casa delle pizze per lei e per Diego, per poi licenziarlo (facendo capire più o meno esplicitamente che la serata sarebbe trascorsa in intimità fra loro due).

Poi una volta Matteo le aveva confessato che nel servirla si sentiva realizzato, eccitato e che non avrebbe desiderato altro dalla vita. Così, senza alcun atto esplicito, Federica era diventata la sua padrona: aveva iniziato col farsi fare regali, col farsi accompagnare a fare shopping e ad usare Matteo come autista. Poi aveva iniziato a beffeggiarlo in maniera subdola, ad acuire la sofferenza che sapeva di provocargli ogni volta che gli raccontava delle sue serate con Diego. Una volta, mentre era seduta sul suo motorino, ed indossava una lunga gonna e un paio di splendidi infradito rosa, notando che le guardava fugacemente i piedi, gli aveva chiesto di baciarglieli e lui, senza farselo ripetere, si era accucciato ai suoi piedi e glie li aveva baciati dolcemente e delicatamente.

Da allora in poi i sabati sera di Matteo si svolgevano sempre allo stesso modo: era costretto a sistemare la cameretta della sua padroncina, a prepararle il letto per la notte, a sistemare e lustrare le sue scarpe (che giacevano sovente ammucchiate dietro la tenda) e i suoi stivali. Poi, quando aveva terminato, inizialmente lasciava la casa, senza sorpresa della madre (che era al corrente della situazione, e che, talvolta, ne approfittava); ma in seguito, col passare del tempo, Federica gli aveva chiesto di aspettarla al suo rientro dalla serata (di solito passata a ballare), in modo da farsi massaggiare i piedi e da divertirsi a punire lo schiavo qualora non avesse svolto correttamente i compiti assegnatigli. Le punizioni consistevano in schiaffeggia menti particolarmente intensi (di cui Federica era diventata esperta) a frustate eseguite con la sua cintura borchiata.

Come ogni sera Matteo stava pulendo il pavimento, mentre Federica si stava cambiando, gettando i panni sporchi a terra addosso allo schiavo. Come sempre lo fissava con un sorrisino beffardo, e di tanto in tanto lo colpiva con un calcetto:

“Devo sbrigarmi, fra un po’ arriva Diego! Pulisci più in fratta te. Stasera ci divertiremo!”

Per umiliarlo gli infilò un calzino sporco in bocca, e lo colpì con uno schiaffo, ridendo. Poi gli si accostò, lo accarezzò e gli sussurrò all’orecchio:

“E’ buono vero? Questa sera dovrai pulire tutte le mie scapre, dopo averle annusate e leccate una per una. Se quando torno le troverò sporche, lo sai quello che i faccio, vero? Ihihihi”

Tornò poco dopo con un paio di infradito rosa (sapeva che lo facevano impazzire), e, dopo avergli tolto il calsino dalla bocca, ne avvicinò uno alla sua faccia, tirandolo per i capelli; poteva intravedere la sagoma nerognola del piede di lei sulla scarpa. “Ecco la tua ragazza”, disse, “ne hai addirittura due, ma che marpione che sei ahahahahah. Questa sera vi lascio soli, mi raccomando non fate troppo gli zozzono ahahahahah”. Rideva di gusto e lo derideva, poi lo costrinse ad annusare la scarpa e glie la strusciò violentemente in faccia. “Bacia la tua ragazza!”: lui la baciò, e per tutta risposta gli arrivò un violento ceffone che lo fece vacillare.

“Si baciano così le ragazze, cafone che non sei altro? Baciala meglio!”

Matteo baciò la suola della scarpa, mentre la sua padrona la teneva premuta contro il viso.

“Bravo cicci, così si fa! Siete proprio una bella coppia.Ahahahahah!”

Intravide i fantastici piedini di lei, laccati di porpora, e sentì la sua eccitazione crescere. Lei lo schiaffeggiò con la scarpa, e si finì di preparare.

Quando il ragazzo suonò, Federica si accucciò nuovamente accanto a lui, lo baciò sulla guancia e gli sussurrò: “Ciao tesoro, io vado. Ci vediamo quando torno! Buon divertimento ihihihihi”

“Buon divertimento, padrona”, rispose lui sommessamente.

Ciò detto, gli porse il piede destro, su cui indossava una decolteè fuxia molto bella, che egli prontamente e delicatamente baciò.

Proseguì nella pulizia del pavimento, nel riassestamento dei panni e nella preparazione del letto, quindi si avvicinò alla montagna di scarpe, da cui proveniva un odore molto intenso. Si eccitò. Iniziò da un paio di stivali rosa, li slacciò, li annusò a lungo, per poi iniziare a succhiare i tacchi, leccare le suole e le punte ed assaporare la polvere che vi si era depositata.

“Matteo!”, si sentì chiamare dall’altra stanza. Era Martina, la madre di Federica, una donna sulla quarantina che si manteneva abbastanza bene fisicamente: aveva un viso piacente, occhi marrone chiaro, capelli lisci di un castano intervallato da colpi di sole, ma soprattutto due splendide gambe e due piedi stupendi (che per fisionomia ricordavano quelli della figlia), dalle dita affusolate e dalle lunghe unghie laccate di lucido, che facevano impazzire il povero Matteo.

“Matteo, mi puoi fare un favore?”

“Martina, io, veramente … dovrei finire di fare ciò che mi ha detto Federica, temo di non…”

“Dai, su, ma certo che finirai in tempo! Vieni un secondo!” Disse lei con voce calda e tranquilla. Lui sapeva di non avere scelta, e a malincuore si dovette recare in salotto, dove lei giaceva sdraiata a piedi nudi sul divano, a guarda re la TV. “Fai il bravo, finisci di spicciare la tavola!”

“Si subito!”, disse lui.

Mentre spicciava la tavola, i suoi occhi cadevano sulle gambe di lei, sui piedi, le cui dita si muovevano sensualmente di tanto in tanto, e poi su un paio di zoccoli che giacevano ai piedi del divano. Lei se ne accorse attraverso il riflesso della porta-finestra, e chiese:

“Cosa stai guardando, cucciolo?”

Imbarazzato, pronunciò un rapido “niente” e si rimise a capo chino sulle sue mansioni. Lei sapeva di metterlo in imbarazzo e ogni tanto si divertiva a fare domandine di questo tipo.

Non fu la prima volta che dovette interrompere il lavoro: lo chiamò altre due volte, una delle quali prima che lei si coricasse. La raggiunse in camera da letto, dove si stava spalmando una crema sui piedi: “Puoi prepararmi il letto?”, “Certo”,”Ma che tesoro che sei, grazie”, e continuò a spalmarsi la crema sui piedi, sapendo di provocare eccitazione in lui. Nella camera si respirava un provocante odore di crema, collants, cuoio e della pelle della donna.

Quando questa tortura finì, tornò ai suoi compiti nella camera della figlia, realizzando che ormai non avrebbe fatto in tempo a finire di pulire tutte le scarpe (era comunque impossibile finire il lavoro in una notte). Quando la padroncina sarebbe tornata, probabilmente gli sarebbe spettata una dura punizione: nel caso in cui fosse tornata ubriaca,poi, la violenza con cui si sarebbe avventata su di lui sarebbe stata incontrollabile. E la punizione sarebbe stata dura in ogni caso: l’idea lo eccitava e lo impauriva al tempo stesso, l’attesa lo lacerava.

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