Domiziana – parte V

piedi KarinaLa serata precedente si era tenuta la festa delle scuole, durante la quale Domiziana aveva conosciuto un ragazzo. Aveva ballato con lui per tutta la sera, poi si era appartata fuori, in intimità. Di quel momento di intimità, Domiziana aveva mantenuto un piccolo regalino da portare al suo schiavo, alla cena di Carolina dell’indomani.

Domiziana si alzò dal divano, e si diresse decisa verso il ragazzo, che aveva appena finito di nettare i piedi di Carolina. Gli sputò in faccia, allentandogli anche un ceffone.

“Fai schifo, leccapiedi di merda!”, e giù un altro schiaffone. “Ammazza che uomo!”, aggiunse, provocando l’ilarità delle altre. “Tu non sai nemmeno che significa essere un maschio, frocetto! Vero?” – “Si, padrona!”

“Carolina, per lo meno i piedi te li ha leccati bene?”

Carolina si afferrò la caviglia, guardando la pianta del piede: “Diciamo di si, dai! Almeno questo lo sa fare!”, disse, ridendo forsennatamente.

“Perché non ci fai vedere quell’affare inutile che hai fra le gambe?” disse lei. “Voi lo volete vedere?” chiese alle altre. Roberta: “Mah! Io non ci tengo proprio! Che poi siamo sicuri che ce lo abbia?”, disse.

Lui iniziò a provare paura: era già in mutande ed esposto allo scherno di tutte e tre le sue aguzzine. Ora avrebbe dovuto mostrare loro i genitali, non sapendo se oltre agli insulti avrebbe ricevuto anche calci sui testicoli.

“No, per favore. Pietà!”, provò a piagnucolare. Ma non vollero sentire ragioni, e dovette rimanere in ginocchio, nudo come un verme, dinnanzi agli sguardi deridenti e agli insulti di loro.

“Dove vorresti andare con quel coso?”, disse Roberta. “Non sarà nemmeno un decimo di quello di Simone”, aggiunse Domiziana. “Vediamo se lo sai usare almeno!”.

Venne posto di fronte a uno sgabello, in ginocchio, e gli ci venne fatto appoggiare il pene. Roberta glie lo schiacciò con la scarpa, provocando un urlo di dolore, prontamente soffocato da un ceffone. Carolina gli si mise dietro, per tenerlo fermo in caso si fosse dimenato per il dolore. Roberta continuò a schiacciare il membro dello schiavo, che divenne ben presto violaceo. “Mi vorresti scopare, non è così?” gli chiese Domiziana – “Rispondi!” – “Non ne sono degno padrona!”. La risposta non le piacque e lo colpì con un violento ceffone: “Non dire cazzate! Mi scoperesti, eh?”, urlò. “Si, padrona!”, dovette rispondere il ragazzo.

“Lo sapevo, porco schifoso che non sei altro. E secondo te io mi farei scopare da un essere lurido come te? Per di più con quel coso ridicolo che ti ritrovi fra le gambe? Guardalo!”, indicando il pene martoriato.

“Se stanno così le cose” – disse lei – ” scopati la scarpa di Roberta come scoperesti me. Avanti, fammi vedere!”.

Lui, rimasto attonito e ancora indolenzito, ebbe una smorfia di sofferenza. Cercò di far erigere il suo pene, schiacciato sotto la suola della scarpa di Roberta, e iniziò a sfregare tanto quanto gli era consentito dalle sue forze residue.

Il gesto meccanico gli costò non poca fatica, ma il suo pene stentò ad assumere durezza. Rimaneva morbido e floscio, e per di più la ragazza si divertiva talvolta a schiacciare più forte. Mentre il ragazzo eseguiva i movimenti, Domiziana e Roberta lo insultavano e lo riempivano di sputi, e Carolina iniziò a dargli dei morsi sulle spalle.

Ben presto gli venne l’affanno, e sentì una vampata di calore pervaderlo. In un ultimo, disperato sforzo, chiese il permesso di venire. Gli venne concesso, almeno quello, e un getto non troppo potente si riversò sullo sgabello e sulla suola della scarpa di Roberta.

“Che schifo!”, fu il commento di quest’ultima. Carolina invece lo fece alzare e gli diede una ginocchiata sui testicoli da dietro, facendolo piegare. “Guarda che casino che hai fatto, hai sporcato tutto lo sgabello. Adesso lo pulisci con la lingua!”

Piedi Arianna“Prima la scarpa” precisò Roberta; al che lo schiavo leccò il suo proprio sperma dalla suola, con colpi di lingua ampi e lenti. Ben presto la sua bocca si impastò di un sapore piccante, acre e disgustoso. Iniziò ad avere anche dei conati di vomito, repressi da un violento ceffone di Carolina. “Buono, vero? Questa è la tua cena! Ahahaha”.

“Inghiottilo!”, fu il perentorio ordine di Domi. Così fece, suo malgrado, e la smorfia di disgusto che ne seguì fece ridere tutte e tre le ragazze.

“Allora avevamo ragione, sul fatto che sei frocio!” disse Domiziana. “Proprio per questo motivo ieri sera ho pensato di portarti un regalo. Sai, mi sono divertita tanto con Simone.”

Che cosa aveva in serbo per lui? Cosa altro ancora avrebbe dovuto fare per compiacerla? Questi pensieri gli ronzavano in testa mentre lei era andata nell’altra stanza a prendere “il regalo”. Lo scoprì quando lei tornò, con sorrisino beffardo, tenendo in mano un barattolo chiuso. Dentro, un preservativo da cui fuoriusciva un filo di sperma giallastro.

“No, vi prego, questo no!” disse, spaventato quanto disgustato. Già ingerire il suo sperma era stato disgustoso: quel sapore pastoso e piccante gli riempiva ancora la bocca. L’idea di ingerire lo sperma di un altro, per di più del giorno prima, era ancora più vomitevole. Eppure era sottostato a tutte le umiliazioni e le vessazioni che gli erano state imposte, e non si sarebbe sottratto nemmeno stavolta.

“Noooo, dai! Ahahahah”, risero le altre due. Quando Domiziana svitò il coperchio del barattolo, uscì un odore nauseabondo di sperma stantio, tanto che la stessa si sventolò una mano davanti al naso, in un’espressione di disgusto.

“Senti che puzza, annusa! Forza!” disse, mettendogli il barattolo sotto al naso, e roteandolo per fargli vedere meglio il contenuto. “Dillo che era meglio la puzza dei miei calzini, eh?” lo sfottè Carolina.

Il ragazzo tossì e cercò di girarsi dall’altra parte, ma si beccò uno schiaffo da Domiziana, che lo afferrò per il mento e costrinse il suo sguardo verso il barattolo.

Fulminandolo con lo sguardo, gli ordinò, scandendo bene la parola: “L e c c a!”

A quel punto, Carolina lo afferrò per i capelli, reclinandogli il capo all’indietro. “Apri la bocca! Di più!” Mentre lui aveva la bocca spalancata, Domiziana ci fece percolare lo sperma, mentre le altre due guardavano incuriosite la scena.

Gli venne appoggiato il preservativo vuoto sotto al naso.

“Inghiotti!” disse Domiziana, chiudendogli la bocca con uno schiaffo sotto al mento. A fatica mandò giù tutto: il liquido era denso, freddo e dal sapore salato e amaro, molto più cattivo di quello ingerito in precedenza. Fu quasi per vomitare. “Ti piace la sborra, frocetto!” Iniziarono a canzonarlo, mentre lui era in ginocchio, nudo come un verme, con lo sguardo fisso al pavimento e il viso sporco dello sperma di un altro, ardente per la cocente umiliazione a cui era stato sottoposto.

“Mi sa tanto che ti dobbiamo trovare un ragazzo, frocio come te! Ihihihi”.

“Muoviti, vatti a lavare!”: a quest’ordine si alzò, credendo (e sperando) che la serata fosse finita. “Anzi, fermo!”, gli intimò Domiziana. “Vuoi sciacquarti la bocca? Anche se meriteresti di tenerti il sapore della borra di Simone fino a quando non torni a casa, tanto per ricordarti quanto sei sfigato.”

“Si padrona, vorrei sciacquarla se possibile.” rispose lui.

“Bene, Carolina è andata a pisciare, tra poco ti porta il colluttorio! “. Era ancora caduto nella diabolica trappola delle sue aguzzine. Poco dopo Carolina tornò con un bicchiere di plastica trasparente, contenete urina giallo scuro.

“Guarda che colore, sembra birra!” – “Che schifo! Daiiiii!” furono i commenti divertiti delle tre. “Sbrigati, bevila!”

“Padrona no, ti prego! Mi fa schifo!”

“Ti fa schifo? Ma come ti permetti? Hai bevuto la sborra di Simone, mi hai leccato i piedi sporchi e adesso il mio piscio ti fa schifo?” disse Carolina, scattando d’ira e ammollandogli uno schiaffone. “Domi, lo posso ammazzare di botte questo imbecille?” continuò, “Dai! Ahahaha”, rispose Domiziana.

Lo afferrò per i capelli e iniziò ad assestargli una serie di schiaffi sulla guancia destra: “De-fi-cie-nte!”, scandì, intervallando ogni sillaba con un ceffone. “BEVI!”, incalzò!

Riluttante e schifato, prese il bicchiere, e iniziò a bere a sorsi. Roberta, delicatina, non ce la fece ad assistere alla scena e si voltò a guardare la TV. Domiziana, con le braccia conserte, dominava dall’alto la scena, mentre Carolina, come di consueto, si assicurava che il ragazzo svolgesse il compito ordinatogli, pronta a intervenire qualora necessario.

Il sapore amarognolo dell’urina fece venire nuovamente i conati di vomito al ragazzo, ma rispetto a quello nauseabondo dello sperma assaporato poco prima gli sembrò quasi gradevole . Sorso dopo sorso, bevette tutto, sotto lo sguardo penetrante e umiliante delle due ragazze. All’epoca non esistevano i cellulari con le fotocamere, altrimenti sarebbe senza dubbio stato immortalato mentre si prestava alle umiliazioni impostegli. Ormai avrebbe fatto di tutto per la sua padrona, e, di riflesso, per le sue sadiche amiche: il suo orgoglio maschile era stato praticamente annientato durante il suo percorso di schiavitù.

Era ancora caduto nella diabolica trappola delle sue aguzzine. Poco dopo Carolina tornò con un bicchiere di plastica trasparente, contenete urina giallo scuro.

Domiziana – parte IV

Piedi

Le ragazze dopo l’ultima sera avevano preso gusto nel giocare a dominare il povero ragazzo, che, dal canto suo, nonostante l’imbarazzo e l’umiliazione che aveva provato non poteva fare a meno di degradarsi dinnanzi alle sue carnefici. Il fatto che ad imporgli tutto ciò era la sua Dea Domiziana rendeva il gioco ancora più eccitante.

Così chiesero a Domiziana di portare più spesso il suo cagnolino alle loro cene.

Non passò molto prima che ne organizzassero un’altra, questa volta a casa di Carolina. Questa volta erano in tre le ragazze, dato che Federica era fuori con il ragazzo Diego. Tutte e tre le commensali arrivarono un’ora prima della cena. Quando arrivò Domiziana con il suo schiavetto, questo venne fatto inginocchiare sullo zerbino e gli vennero fatte alzare le braccia tre volte in segno di adorazione delle padrone. Poi le tre si fecero baciare la mano. “In cucina!”, disse perentoria Carolina; il ragazzo si alzò di scatto, e si diresse rapido in cucina, beccandosi un calcio nel sedere dalla padrona di casa.

Appena entrato, il cuore gli iniziò a battere quando vide che tutte e tre le sue carnefici lo circondavano col sorriso beffardo. Gli venne fatto indossare il grembiule e la parrucca. “Bello!”, lo sbeffeggiò carolina, con dei buffetti sulla guangia; nel sentirle ridere, sentì il calore salirgli al viso, e la pressione sanguigna aumentare, provocandogli un’erezione. Domiziana se ne accorse, e col suo sguardo implacabile lo annientò, dandogli poi una ginocchiata sui testicoli che lo fece piegare: “Schifoso!”

Quando si riebbe, Carolina con uno schiocco di dita gli indicò il pavimento, facendolo inginocchiare. “Bacia il pavimento!”, gli disse. Contrariato, la guardò con aria supplichevole, come a chiedere se avesse dovuto farlo veramente. “Hai sentito quello che ho detto, o sei sordo?”, disse lei, quasi alterata: nello stesso tempo, Domiziana si avvicinò di scatto e gli diede un calcio nel sedere, mentre lui iniziò, seppur riluttante, a baciare le mattonelle. Carolina gli mise la scarpa sulla nuca, e lo schiacciò col naso per terra; poi, fece un gesto vittorioso con le braccia, che fece ridacchiare le due amiche. Lui continuava, col poco margine di manovra che il piede della dominatrice gli lasciava, a baciare il pavimento. Quando venne liberato, le tre decisero di fare un giochetto: avrebbero passeggiato per la stanza, e il loro cagnolino, a quattro zampe, avrebbe dovuto baciare il pavimento dove camminavano. A turno, ciascuna delle ragazze lo costringeva a seguirla goffamente a quattro zampe, spronandolo battendo le mani: “Forza! Più veloce cagnolino! Ihihihi!” Se non riusciva a stare al passo e a baciare dove camminavano, si beccava un ceffone o una zampata. Le altre due guardavano divertire, appoggiate al termosifone. La più spietata, sia con gli insulti che con le percosse, fu ovviamente Domiziana, col cinismo che la contraddistingueva e con la consapevolezza di avere il dominio assoluto sulla mente e sul corpo del suo schiavo. Roberta ci andava più leggera, ma si calava bene nella parte.

Quando questo gioco finì, le ginocchia del ragazzo erano doloranti, le guance infuocate e la testa gli ronzava per gli schiaffi ricevuti. Per farlo “riprendere”, Carolina gli porse i suoi piedi, che calzavano delle scarpe sportive bianche, e se li fece leccare. “Lecca bene, cagnolino! Uh, ma come sei bravo! Allora qualcosa sai fare! Ihihihi”

“Tieni, assaggia le mie!”, disse Roberta dai capelli rossi. Le scarpe di Roberta erano più sporche rispetto a quelle di Carolina. “Facci vedere la lingua!”, gli disse lei. Tirò fuori la lingua, tutta annerita e impolverata, che fece scoppiare grasse risate.

Piedi Paola

Quando si fece ora di cena, il ragazzo fu mandato a ritirare la pizza, che dovette pagare di tasca propria. Poi, al ritorno, dovette apparecchiare la tavola, mentre le sue padroncine stavano sul divano a guardare la TV. Non lo degnavano di considerazione, salvo chiedergli di tanto in tanto se avesse finito, che avevano fame. “Ma quanto cazzo ci metti? Ti muovi? Se non ti sbrighi ti facciamo vedere noi!” lo minacciavano, sghignazzando.

La cena si svolse sulla falsariga della precedente, senza niente di eccezionale. Il povero ragazzo, oltre a dover servire la cena, si dovette sorbire una buona dose di umiliazioni verbali, schiaffi, sputi e calci. Per farlo bere, le ragazze gli avevano riservato una bacinella piena di acqua, nella quale si erano divertite a sciacquare dei calzini ripescati dal cesto dei panni sporchi. Da mangiare, gli diedero dei pezzi di pizza che calpestarono accuratamente a turno: ovviamente dopo averli mangiati lo schiavetto dovette pulire il pavimento con la lingua. Appena finito di cenare, le tre ragazze decisero di guardarsi un DVD: si tolsero le scarpe, e si spaparazzarono sul divano. davanti al divano c’era un poggiapiedi, ma Domiziana ebbe la fantastica idea di usare il suo schiavo a tale scopo. Così vennef atto mettere a quatro zampe, e le tre vi appoggiarono i piedi. Passarono tre quarti d’ora, durante i quali, oltre allo sforzo titanico di mantenere quella scomoda posizione, lo schiavetto si beccò qualche pedata e insulti sulla sua scarsa virilità. Di tanto in tanto poi Carolina si divertiva a mettergli i piedi in faccia, ordinandogli di annusare: “Puzzano vero? Ahahaha”. Allora alle tre venne in mente un altro giochino: il ragazzo era stato bendato, quindi le ragazze gli facevano annusare i piedi a turno e lui, posizionato davanti al poggiapiedi, doveva indovinare di chi fossero. Domiziana indossava un paio di calzini rosa, mentre Roberta aveva dei gambaletti semistrasparenti. Carolina portava dei classici calzini bianchi, la cui suola era diventata nera a forza di camminare scalza per la casa durante la cena. Ogni volta che il ragazzo sbagliava, gli arrivava una serie di schiaffi dalla proprietaria del piede. Alla fine però gli odori dei diversi calzini gli si erano talmente impressi nel cervello che indovinava sempre a chi appartenessero. Come “premio” finale, Carolina se li tolse e glieli infilò in bocca. Quando gli fu tolta la benda, si trovò di fronte alla visione celestiale dei piedi nudi di Carolina: taglia 39, dita affusolate, di un candore fuori dal comune. L’odore vivo della pelle di quei piedi, assai più dolce di quello dei calzini, gli inebriò le narici, accendendogli dentro una forza vitale e una eccitazione che il duro lavoro di quella sera in parte aveva smorzato. Carolina se ne accorse, e si divertì ad avvicinarglieli alla faccia, sventolandoglieli a pochi centimetri dal naso. Avrebbe voluto leccarli, ma non gli fu permesso subito. “Ti piacerebbe leccarli, eh? Sono troppo puliti per quella fogna di bocca che ti ritrovi! Che dite voi? Lo accontentiamo?” – “Ma si, dai. Stasera è stato bravo!”, rispose Roberta. Domiziana rimase indifferente. Allora Carolina iniziò a passeggiare scalza per la casa, ordinando allo schiavo di seguirla a quattro zampe. Ogni tanto si fermava e si faceva baciare il piede: passò in bagno, nelle camere da letto, in cucina e infine ritornò in salotto. Si guardò un piede e disse: “Bene, adesso si! Vieni schiavetto!” Le piante dei piedi erano ora impolverate: “Lecca!”, disse Carolina. Lui obbedì, iniziando a leccare delicatamente la pianta del piede destro, dal tallone fino alle dita. Succhiò le dita uno ad uno, mentre la ragazza le muoveva ogni tanto. Passò all’altro piede, ripetendo il servizio. Le altre due ragazze alternavano espressioni di disgusto a sorrisini di derisione, ma in fondo quella situazione le intrigava. Leccò fino a quando le piante non tornarono abbastanza pulite. “Bravo piccino!”, disse, sfottendolo. Ma la serata non era ancora finita.

Domiziana – parte III

Piedi

Il suo entusiasmo durò poco, e il suo morale scese rapidamente sotto le scarpe: ma non potè fare a meno di obbedire alla richiesta della sua padrona. E passarono nonostante ciò diverse settimane prima che lei si rifacesse viva. Lo chiamò dicendogli che stava organizzando una cena a casa sua, con le sue amiche, e che lui le avrebbe dovute servire.

Il giorno decisivo, si ritrovò a casa della sua padrona assieme alle amiche di lei: Roberta, Carolina e Federica. Era stato preventivamente mandato a comprare la pizza, che naturalmente dovette pagare lui.

Appena arrivato, Domiziana lo aveva accolto schiaffeggiandolo sonoramente, per ricordargli chi comandava. Poi per umiliarlo le quattro gli avevano fatto indossare un grembiulino: la loro malsana idea di fargli indossare anche le scarpe coi tacchi per fortuna fallì, dato che non gli entravano. Nemmeno quelle di Carolina, che pure portava un 39 abbondante ed era la più alta delle quattro.

Per tutto il resto della serata, dovette adempiere al compito che la mente diabolica della sua padrona aveva concepito: fare da servo a quattro ragazzine in vena di divertirsi e di umiliarlo. Per questo era anche un pò timoroso, in quanto, pur essendo eccitato all’idea di essere un giocattolo nelle mani di una padrona, tuttavia nutriva dei dubbi sulle intenzioni di lei e sul fatto che questa non aveva un briciolo di premura nei suoi confronti, anche a causa della sua immaturità. Ma ormai era alla loro completa mercè.

All’inizio, servì le padrone beccandosi “soltanto” una buona dose di ceffoni e insulti, il tutto fra le risate generali. Ogni volta doveva stare in ginocchio a guardare le ragazze dal basso mentre mangiavano, fino a quando non gli ordinavano di portare altra roba. Con le ginocchia doloranti l’impresa diventava sempre più ardua. “Muoviti, imbecille!”, tuonava la voce di Domiziana: “Sei proprio un idiota!”, diceva, schiaffeggiandolo, mentre le altre tre se la ridevano. Una cosa che lo mandava letteralmente in estasi era quando la sua padrona lo afferrava per la maglietta, tirandolo a sè, e lo fissava negli occhi, con uno sguardo fermo, magnetico, penetrante: quegli occhioni da cerbiatta, che, nonostante lo sguardo irato, non riuscivano a nascondere una certa dolcezza. A rompere questa estasi paradisiaca, le voci squillanti delle altre, che iniziavano per dispetto a impartirgli ordini tutte e tre insieme, e lo schiaffeggiavano nel momento in cui non riusciva ad esaudirli. Per umiliarlo, ogni tanto gli tiravano addosso bevande, o lo colpivano con le bottiglie di plastica vuote. Se provava a difendersi dai colpi, infierivano ancora di più. Non serviva a niente implorare pietà. La più tranquilla della comitiva sembrava essere Roberta: molto composta e contenuta, anche se aveva quell’aria da furbetta che bastava a umiliare. Fu proprio Roberta a proporre di truccare il povero ragazzo, che venne portato in bagno, a metà della cena, e conciato per bene: “Guarda che faccia da pompinara che hai! Tanto abbiamo capito che sei frocio.”. Ovviamente il tutto veniva fotografato coi telefonini. Continuò ad essere degradato, fra risatine varie e sputi in faccia, per il resto della serata. Man mano che le ragazze bevevano, il loro ritegno andava scemando: avevano iniziato a spalmare del cibo sulla faccia dello sventurato, al quale venne anche ordinato di mangiare dal pavimento, dopo che le perfide padrone lo avevano calpestato. Federica si divertiva a farglielo leccare direttamente dalla suola delle sue scarpe.

Roberta aveva un bel paio di stivali rosa, e più volte aveva minacciato di farli “assaggiare” allo schiavo, puntandoli sui suoi testicoli. Carolina nel frattempo aveva preso a schiaffeggiarlo selvaggiamente, ridendo come una forsennata; Federica, dal canto suo, volle movimentare un pò la serata proponendo alle compagne, a giro, di prenderlo a calci sui testicoli. Di fronte a questa proposta, il ragazzo iniziò a tremare e a implorare, ma Carolina, accarezzandolo in testa, abbozzò una falsa dolcezza che aveva il sapore più autentico della presa per il culo: “Tranquillo, lo sai che le tue padrone ti vogliono bene, vero ragazze?” – “Oh, ma si! Ahahahah!”. “Forza, alzai e allarga le gambe”, disse Domiziana. “Vi prego, questo no! Vi supplico …” disse lui, con la voce che quasi tremava.

Piedi Silvia

Carolina gli si mise dietro, tenendogli le mani ferme, mentre Federica, la promotrice dell’iniziativa, tirò un calcio fra le gambe del ragazzo, che cacciò un urlo e si accasciò a terra. Mentre era rannicchiato, Domiziana gli ordinò perentoriamente di rialzarsi, ma dato che stentava, iniziò a prenderlo a calci sulla schiena. “Alzati, ho detto, o sarà peggio per te!”: disse, tirandogli i capelli. Quando si rialzò, Carolina lo “aiutò” a rimettersi in posizione, puntandogli un ginocchio sulla schiena e tirandogli le braccia in dietro. Roberta, per sua fortuna, ci andò leggera, con la sua solita delicatezza, quasi solo appoggiando il dorso dello stivale sulle palle dello schiavo, che comunque sobbalzò dallo spavento. “Roby, ma che fai, dagli giù più forte, dai! Ti fà per caso pena questo deficiente?”, la spronò Domiziana. Così Roberta lo colpì più forte, tanto che questo si dimenò al punto da liberarsi dalla presa di Carolina, gettandosi di nuovo a terra, piagniucolante. Venne rimesso in piedi, e Domiziana gli diede una ginocchiata che non gli lasciò scampo. Dolorante, piagniucolante e implorante, sul pavimento, iniziò a fare tenerezza alle quattro, tanto che Carolina, alla quale sarebbe spettato il turno, mettendogli la scarpa sulla guancia disse che poteva bastare. “Dai, sennò lo ammazziamo!”, poi, rivolta al ragazzo, “vedi che ti vogliamo bene? Dovresti ringraziarmi! Baciami il piede!”, Il ragazzo baciò più volte la scarpa a Carolina, e con voce tremolante la ringraziò: “Grazie padrona, grazie!”. La stessa cosa fece con le altre, che gli porsero i piedi una dopo l’altra.

Per completare l’opera, venne schiaffeggiato ancora un pò: ogni volta che una delle ragazze anche solo alzava una mano, per istinto lui si riparava la faccia, tremando: a tal punto lo avevano conciato.

Poi gli fu permesso di andare in bagno a riprendere fiato. A questo punto, il gioco poteva dirsi concluso, e ci fu tempo per un pò di social time, durante il quale le tre ragazze, eccetto Domiziana, gli dissero che era stato bravo e lo ricompensarono baciandolo sulle guance. La sua padrona invece era fredda e distaccata come al suo solito. Chissà la prossima volta cosa gli sarebbe toccato fare.

Domiziana – parte II

Piedi BimbaI pomeriggi estivi che fecero da contorno al quinto liceo di lui passarono tutti secondo le medesime modalità e secondo schemi ben consolidati. Lui la seguiva come un cagnolino per il paese, mentre lei lo respingeva in malo modo quando non le serviva, usando calci e schiaffi all’occorrenza. Delle volte però l’istinto dominatore di Domiziana si risvegliava, e allora usava il suo schiavetto per divertirsi.

Accadde una volta, in una sera di giugno, che si appartassero nei giardini pubblici, in un’area poco frequentata e anche poco illuminata. Erano lui, la sua padroncina e le amiche di lei: indossava delle infradito rosa. Lo fece mettere in piedi davanti a lei, ed iniziò ad insultarlo, tutto mentre le amiche sghignazzavano e ridevano; lui cercava di difendersi dagli insulti, ma Domi lo azzittiva con decisione: “Sta zitto, o ti arriva una ciavattata sulla bocca!”. Così effettivamente successe, dato che la ragazza gli tirò uno dei due infradito, prendendolo sul naso. “Riportamelo con la bocca adesso, stupido!”. Fu estremamente umiliante e degradante doversi chinare, con quattro ragazze che lo guardavano e lo deridevano, a raccogliere l’infradito impolverato della sua padrona con la bocca, e riportargliela camminando a quattro zampe sui sassolini. Quando arrivò da Domi, che lo fulminò con lo sguardo, era tutto dolorante e aveva la faccia che bruciava. Per tutta risposta la ragazza prese la scarpa, poi lo afferrò per i capelli, piegandogli la testa su un lato e iniziandolo a colpire con la suola dell’infradito sulla guancia. Lui soffriva ed emetteva lamenti, fino a quando lei si fermò e gli chiese, imperante: “Tira fuori la lingua!”. Il ragazzo mugulò qualcosa, quasi a chiedere pietà, ma poi tirò fuori la lingua: Domiziana, per umiliarlo ulteriormente, iniziò a strusciare la suola della scarpa, sporca, sulla sua lingua, che si tinse ben presto di nero. “A qualcosa servi, vedi? Allora, hai capito che non mi devi rompere le palle?” – “Si, padrona”, disse, sputando a terra per il disgusto. Dopo qualche altro insulto da parte delle amiche, Domiziana lo cacciò via con una pedata: “Non farti più vedere finchè non ti chiamo io, capito?”. Quando tornò a casa, il povero ragazzo ribolliva fuori e dentro: aveva i segni delle scarpe della ragazza sulle guance, il sapore disgustoso della terra e della polvere in bocca e il suo orgoglio maschile che iniziava a protestare nel suo intimo. Basta, era troppo quanto gli era accaduto! La prossima volta che la avrebbe incontrata, la avrebbe insultata a sua volta, schiaffeggiata dicendole che era una stronzetta che non valeva niente.

Be presto però, quando questo rimuginio si quietò, riemerse potente la sua natura di schiavo sottomesso: si era umiliato per la sua dea, le si era inginocchiato e le si era dato completamente, permettendole di fare di lui ciò che voleva. Nel guardare i segni lasciatigli dalla scarpa della sua padrona, ebbe un’erezione improvvisa. Dovette così masturbasrsi e ripercorrere con la mente la surreale situazione che si era trovato a vivere. Dopo essersi liberato, aveva un solo problema in mente: come poter obbedire al divieto impostogli dalla sua dea di avvicinarsi fino a nuovo ordine. Ce la avrebbe fatta a mantenersi distante da lei?

piedi Karina 2

Fu dura, in effetti. Soprattutto perchè in un paese piccolo come il loro ci si incrociava di frequente, e comunque dovevano fare il viaggio in treno insieme per andare a scuola. Sul treno cercava di sedersi lontano da lei, tenendo a freno il desiderio di vederla e di adorarla. Quando la incontrava il sabato pomeriggio invece abbassava lo sguardo. Ogni minuto sperava di ricevere una chiamata o un sms, invano.

Poi arrivò un messaggio. Il cuore iniziò a battergli veloce, un forte calore si sviluppò all’altezza del ventre, quando lesse il nome del mittente: “Domiziana”. Allora si era ricordata di lui! Forse lo voleva ai suoi piedi! Sarebbe corso da lei e gli si sarebbe prostrato, pronto ad esaudire ogni suo ordine! Anche di fronte a quelle ochette delle amiche, non gli importava: anzi, più era umiliato, più avrebbe gioito. Coi tasti del cellulare (i touch ancora erano fantascienza, così come facebook), aprì l’SMS della sua padrona, e lesse il suo contenuto:

“Fammi una ricarica da 20 euro. SUBITO!”

Domiziana

Piedi Smalto

Divenne lo schiavo di Domiziana col passare del tempo.

Se ne era innamorato fin dalla prima adolescenza, quando dalla finestra la vedeva, ancora bambina, giocare con le amichette a nascondino sulla strada, durante le serate estive.

Col crescere, durante la sua prima adolescenza, aveva mantenuto quella freschezza e quella vivacità che aveva da bambina, un fisico molto ben proporzionato, lunghi capelli che le scendevano

lisci sulle spalle e che le donavano ancora una sembianza bambinesca. Era corteggiata dai ragazzi del suo paese, ma difficilmente si concedeva a qualcuno, continuando a vivere nel suo mondo dei sogni.

Le prime esperienze amorose, le prime serate in discoteca, le uscite fuori con le amiche le avevano dato sicurezza di se.

Lui aveva vissuto nel chiuso della sua timidezza, adorandola come una dea e facendone la padrona di tutte le sue fantasie. Nessun gesto concreto nei confronti di lei: una parola, un saluto, un gesto di ammirazione. Talmente grande era il senso di inadeguatezza di lui.

Poi, nel corso degli ultimi due anni di liceo, aveva iniziato a fare dei maldestri tentativi di avvicinamento, che ogni volta avevano avuto l’effetto di indisporla. Pian piano, lei aveva iniziato a respingerlo, poi a maltrattarlo ed umiliarlo quando tornavano da scuola in treno. A volte lo picchiava e gli dava dei sonori ceffoni sulle guance.

Lui non si sottraeva a tutto ciò: anzi, il sentirsi alla completa mercè della sua dea gli procurava uno strano senso di eccitazione. Più veniva maltrattato e usato come valvola di sfogo da lei, più continuava a starle sempre vicino. Avrebbe fatto tutto ciò che lei gli avesse chiesto.

Un giorno cambiò tutto. La migliore amica di lei infatti le suggerì di schiavizzarlo. La bizzarra idea iniziò a fare breccia nel carattere coriaceo di Domiziana, che iniziò a fare lui richieste umilianti mentre erano sul treno o in giro per il paese. Gli chiedeva di prendersi a schiaffi da solo, poi di pulirle le scarpe: una volta gli fece pulire, oltre che le sue scarpe, anche quelle di tutte le sue amiche, mentre erano ad una festa, in disparte. Se non faceva bene il lavoro, lo prendeva a schiaffi o a calci sui testicoli.

piedi Karina 3Le punizioni di Domiziana erano sempre accompagnate dal suo pungente sarcasmo: amava umiliare il suo schiavo e farsi chiamare padrona di fronte alle sue amiche. Una volta, ad una festa di compleanno, gli ordinò di baciarle le scarpe: nonostante l’imbarazzo, lui non si sottrasse all’istinto che aveva di accontentare la sua padrona. “Sei proprio uno schifoso!”, le aveva detto lei, allontanado la sua faccia con un calcio assestatogli sulla fronte. “Dato che ti piace tanto, bacia anche quelle di Carolina”. Il ragazzo così aveva fatto, con lo stampo della scarpa di Domiziana ancora sulla fronte.

Più il tempo passava, più il piacere di avere un ragazzo a sua completa disposizione si impossessava di Domiziana. Iniziò a chiedergli di regalargli costosi profumi, e lui, ancora studente liceale senza un quattrino in tasca, spendeva quel poco che aveva per la sua padrona.

Ad una festa di diciotto anni di un loro amico, Domiziana venne con un paio di belle scarpe bianche col tacco. Lui chiese di poterle baciare, ma lei si rifiutò: aveva ben altro in mente. “Baciare è troppo poco!”, disse, “me le devi leccare!”. Il ragazzo simulò sdegno, ma nel suo intimo non vedeva l’ora di degradarsi ed annullarsi fino a questo punto per lei. Così si appartarono nella macchina di un loro compagno, assieme all’amica Roberta. Fu lì dentro che Domiziana lo prese per i capelli, schiaffeggiandolo e ordinandogli di leccarle le scarpe. Rispetto a sua sorella, che era una vera e propria maestra nel dare schiaffi, Domiziana era ancora maldestra e troppo impulsiva. Alzò il piede e lo porse al ragazzo, che iniziò timidamente a leccare le scarpe, mentre la sua dominatrice lo guardava ferma: nel suo sguardo, trapelava derisione, compiacimento nell’avere un ragazzo ai suoi piedi, pronto a fare qualsiasi cosa per lei, e divertimento. Intanto Roberta, inzialmente schifata dalla scena, aveva preso a deriderlo, e ogni tanto lo schiaffeggiava.

“Guarda che schifoso, sei una merda!”, e ridevano entrambe. Poi Domiziana chiese all’amica se volesse provare anche lei a farsi leccare le scarpe: inizialmente si rifiutò, ma poi l’idea iniziò a stuzzicarla: “Lecca quelle di Roberta adesso!”. A nulla servirono le (simulate) obiezioni del ragazzo, che nulla poteva fare se non obbedire alla sua padrona. Così iniziò a leccare le scarpe a Roberta: il sapore della polvere gli impastava la bocca, ma l’eccitazione della situazione era tale da farlo procedere con sempre più convinzione e veemenza. Fino a quando le due non lo fecero smettere, respingendolo.

Tornò da quella festa eccitato all’inverosimile, e si dovette masturbare non appena messo piede in casa. Chissà cosa lo avrebbe atteso nel futuro.

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